8.0
- Band: GAZA
- Durata: 00:42:17
- Disponibile dal: 31/07/2012
- Etichetta:
- Black Market Activities
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Se con lo scorso “He Is Never Coming Back” gli americani Gaza tentarono di dare una forma più ragionata al proprio marchio, con il nuovo “No Absolutes In Human Suffering” tornano ad annichilire l’ascoltatore in maniera a dir poco travolgente. Perso il chitarrista e membro fondatore Luke Sorensen, i ragazzi di Salt Lake City sembrano aver trovato nuove motivazioni per guardare avanti, partorendo un disco concreto e maturo sotto tutti i punti di vista, furioso, disorientante e carico di quell’atmosfera velenosa gia assaporata con il debutto “I Don’t Care Where I Go When I Die”. L’ascolto parte subito contro ogni logica musicale, con l’opener “Mostly Hair And Bones Now” che si concretizza tra chitarre fischianti e un drumming ossessivo, accompagnato, sul finale, dall’urlo disperato di un Jon Parkin in grande spolvero. Il passo da qui al baratro è breve, e così, con la successiva “This We Celebrate”, i suoni diventano più soffocanti e maligni, plasmati da ritmiche impazzite scuola Converge prima, e da lente immersioni melmose dopo, conferendo al brano un mood sludge assolutamente azzeccato. Neanche il tempo di morire in pace che subito veniamo presi a schiaffi dalla bastardaggine di “The Truth Weighs Nothing”, un brano sfrontato dove hardcore e grind diventano un tutt’uno. Se dopo tre episodi si raggiunge gia lo sfinimento, questi musicisti non hanno la benchè minima pietà nel continuare il proprio teatro degli orrori, proseguendo in scaletta con un’alternanza di pezzi in costante sbalzo di tempistiche e sensazioni, caratterizzata da caotici contropiedi grindcore, debordanti ritmiche “post”, improvvise discese nel pantano dello sludge più malevolo (il finale sofferente di “Not With All The Hope In The World” ma anche le ossessive ritmiche della titletrack) e da un finale, “Routine And Then Death”, che, dopo una partenza veramente annichilente, si apre ad un’interessantissima dualità di emozioni, arricchita da un piacevole arpeggio catchy ma assolutamente in contesto. La terza fatica dei Gaza vede inoltre nel gia citato frontman Jon Park un mattatore d’eccellenza: come un mastino slegato dopo giorni di incatenamento, le sue disperate grida riescono a dare quel tocco in più in termine di sconforto ad ogni singolo pezzo, marcando la rabbia quando ce n’è bisogno – il maligno finale di “The Crown” – e rimanendo sempre al servizio di una sezione ritmica scatenata. Undici brani curati e ispiratissimi; se la band era in cerca di conferme, con “No Absolutes In Human Suffering” ne avrà di certo trovate parecchie, tagliando il traguardo di un terzo disco che li consacra a vero e proprio nome di punta della scena, nonostante il loro nome rimarrà comunque poco noto ai più, visto l’alone quasi di mistero che ha sempre avvolto questi musicisti e il loro quasi totale menefreghismo nei confronti di tutto e di tutti.