7.0
- Band: GENERATION STEEL
- Durata: 00:44:44
- Disponibile dal: 27/10/2023
- Etichetta:
- El Puerto Records
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Ritornano i Generation Steel, forti di un debutto infuocato – “The Eagle Will Rise” – che nel 2021 aveva convinto ed appassionato più di qualche seguace delle sonorità classiche. Con la sponsorizzazione di Uwe Lulis (Accept), ancora impegnato in fase di produzione, la band tedesca si ripresenta con un disco ancora una volta pieno zeppo di acciaio fumante, seguendo la tradizione teutonica di band quali Warlock, Rage e certamente Accept, ma con uno sguardo alla scena americana e piazzando con questo “Lionheart” dieci brani senza fronzoli, costruiti su una vagonata di riff forse ancor più potenti rispetto a ciò che avevamo ascoltato ai tempi dell’esordio.
L’ugola ruvida e grintosa di Rio Ullrich sfoggia subito una carica possente riempendo tutti i brani, sempre compatti ed aggressivi: ne esce un heavy metal massiccio, capace talvolta di uscire dai binari principali per spostarsi su quelli maggiormente thrash.
Un impatto subito deciso arriva con l’opener “Baptized In Sorrow”, con riff tritaossa che escono dalle chitarre di Pascal Lorenz e Jack The Riffer, continuando poi subito a testa bassa con “Bloodrage”, caratterizzata da un coro diretto che si stampa subito in testa. Il riferimento principale dei Generation Steel sono i già citati Accept, ma durante l’ascolto si notano influenze più moderne e di stampo US metal – alla Metal Church ed Exciter per intenderci – come denota “Executor”, annunciata da un riff massacrante e cupo. La title-track viaggia su ritmi più elevati in una sorta di power-heavy micidiale nel lasciare il segno, grazie ad un refrain incisivo, per poi immergersi nella detonante “The Lost And The Damned”, con il basso di Michael Kaspar che rimbomba dando il tempo ai compagni. Sonorità rabbiose escono con prepotenza dalle chitarre e appunto alla voce irruente che infiamma il graffiante midtempo “The Ripper”, per poi chiudere con i i ritmi più incalzanti di “United”.
E se è vero che qualche passaggio potrebbe sembrare scontato e poco creativo, quasi facilone – come il ritornello di “Forevermore”, con il titolo del brano che viene ripetuto più e più volte – c’è da dire che tutto questo segue gli stilemi classici dell’heavy metal, i quali non richiedono per forza così tanta innovazione ma che spesso si fanno gustare maggiormente quando chi li interpreta segue, anche a costo di ripetersi, la formula magica che i grandi nomi hanno scritto negli anni d’oro.
E allora ecco “Lionheart”, con dieci pezzi capaci di farsi forza l’un l’altro, dando vita ad un disco decisamente poco innovativo ma con un impatto devastante!