GHOST BATH – Self Loather

Pubblicato il 31/10/2021 da
voto
7.0
  • Band: GHOST BATH
  • Durata: 00:45:48
  • Disponibile dal: 29/10/2021
  • Etichetta:
  • Nuclear Blast
  • Distributore: Warner Bros

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Avevamo lasciato i Ghost Bath nel 2017, reduci dallo sterminato “Starmourner” e da un tour europeo di spalla ai loro ideali padrini Deafheaven. Ci saremmo aspettati che sull’inerzia di quel fortunato periodo e spinti dall’attenzione verso il post-black metal dessero in fretta un successore al loro terzo disco. Invece sono passati quattro anni e un silenzio radar pressoché assoluto da parte loro. Ancora su Nuclear Blast, il gruppo si deve confrontare col dubbio amletico di permanere sulle coordinate che ne hanno provocato le fortune, oppure cimentarsi con altri suoni e provare a farli propri, rinnovando un’identità ben consolidata. In “Self Loather”, siamo nettamente sul secondo versante della questione. Diventati a tutti gli effetti una band, quando fino all’album precedente tutto girava attorno alla figura del tormentato musicista del Nord Dakota Dennis Mikula, i Ghost Bath prendono le distanze da buona parte dei contenuti un tempo a loro ascrivibili. Mentre i sentimenti e le atmosfere persistono a trasudare disperazione, sconforto, un disagio ansiogeno verso la caterva di problematiche e impicci che il mondo propone.
Mikula e gli altri tre componenti della band, con questo “Self Loather”, paiono aver preso coscienza del mondo musicale estremo odierno, che non si limita ovviamente a quanto proposto dai Deafheaven, a loro volta ben distinti ormai dagli stilemi del capolavoro “Sunbather”. Ma se costoro hanno mitigato parecchio i loro estremismi, lo stesso non si può dire della formazione di Mikula: qui il suono si è fatto al contrario più urticante, veemente e conciso, più tradizionale e allineato a un certo canovaccio da gruppo estremo moderno. Dentro allora influenze death metal, ariose armonie di derivazione black metal atmosferico, sia americano che europeo, e un afflato ‘post’ che, invece di guardare ancora con nostalgia a velature shoegaze, propende per la fisicità e l’urgenza espressiva. Il riffing è ora veemente e frenetico, il gruppo ostenta pure una capacità di sintesi che gli era prima sconosciuta e si allinea spesso e volentieri – pensiamo agli attacchi dinamitardi di “A Crystal Lattice” e “For It Is A Veil”, quali casi altisonanti – all’istintività delle innumerevoli compagini che mischiano black metal e hardcore, con foga dissennata.
Incisi tristerrimi costruiti su toccanti arpeggi e vocalizzi strascicati intervengono a mutare il corso degli eventi, inserendo variazioni sul tema interessanti, anche se forse non sviluppate sempre come necessiterebbero. Il punto di maggior discontinuità, se già non ve ne fossero parecchi, lo si riscontra nelle linee vocali, che abbandonano la fonetica e gli ululati del passato a favore di un misto tra growl e screaming. Ciò risulta sicuramente in un qualcosa di più digeribile dal fruitore medio, ma toglie un bell’elemento di distinzione al gruppo. Proprio la riconoscibilità (perduta) dei Ghost Bath è il vero tallone d’Achille di “Self Loather”. La tracklist nel suo complesso si fa apprezzare per una serie di brani coinvolgenti, ben costruiti, tambureggianti e dai fronzoli assai contenuti, frutto di un processo di asciugatura del suono che incontrerà i favori di chi ha sempre considerato i Ghost Bath prolissi e dispersivi. Per chi li ha seguiti con interesse finora, dispiace un poco veder in parte appassita l’unicità della formazione.
Quello che si ascolta in “Self Loather” non ha molto di diverso da tante pubblicazioni di filone black metal contaminato di oggi: impatto immediato, una metodica contrapposizione di tempi serrati e armonie avvolgenti, produzione roboante e bilanciata, equilibrio tra le parti. Un ‘prodotto’ riuscito quindi, ma che non emana più nulla di così speciale, mentre fino a “Starmourner”, anche i detrattori avrebbero dovuto ammettere che i Ghost Bath si riconoscevano in poche battute. Il voto è comunque positivo, perché privo del confronto con quanto accaduto negli anni scorsi questo è un album che funziona, anche se difficilmente entrerà ai piani alti delle classifiche di fine anno.

TRACKLIST

  1. Convince Me to Bleed
  2. Hide from the Sun
  3. Shrines of Bone
  4. Sanguine Mask
  5. A Crystal Lattice
  6. Sinew and Vein
  7. I Hope Death Finds Me Well
  8. For It Is a Veil
  9. Unbearable
  10. Flickering Wicks of Black
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