8.0
- Band: GIGAN
- Durata: 00:55:28
- Disponibile dal: 15/09/2017
- Etichetta:
- Willowtip Records
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La difficoltà più grossa per Eric Hersemann è quella di avere musicisti al suo fianco che abbiano il fegato di seguirlo nelle sue imprese-kamikaze, non certo trovare l’ispirazione. Spalleggiato dal batterista Nate Cotton, già presente in “Multi-Dimensional Fractal-Sorcery And Super Science” e dal nuovo cantante Jerry Kavouriaris, il polistrumentista americano ricomincia da dove aveva terminato la volta scorsa. Dalla degenerazione più completa. Spastico e avventuroso, ad esplorare le ignote immensità nello spazio profondo, era il disegno programmatico dei Gigan fino al disco precedente, inconcepibilmente sperimentale e irrituale nel suo procedere è anche l’ultimo nato “Undulating Waves Of Rainbiotic Iridescence”. Parlare di techno-death metal nel caso della creatura di Hersemann è volgarmente limitativo: siamo al cospetto di un rimodellamento sostanziale dei canoni del genere, in grado di mantenere intatta la brutale forza propulsiva del death metal, per scaraventarlo a ruotare in strambe orbite attorno a pianeti di una galassia lontana. Luogo in cui le leggi fisiche sono completamente diverse dalle nostre e consentono a chi imbracci uno strumento di toccare suoni inediti, agglomerarli in composti cui è impossibile dare un nome, indurre in questo modo a stati mentali alterati non riconducibili ad altre esperienze similari. Bisogna avere una mente speciale anche solo per immaginare un album simile, che incanala la perversione dell’estremismo sonoro in un lucido, contorto vagare, scomposto in sezioni articolate, spesso schizofreniche, a volte riflessive, monumentali, gelidamente oscure, immancabilmente strazianti. Mentre i compagni di etichetta Pyrrhon conducono il proprio estro omicida nelle fauci del noise, imbruttendo il suono e consegnandolo a tentazioni rumoriste, i Gigan mantengono una certa pulizia esecutiva, fino a un certo punto ‘limitandosi’ a concatenare grind, math-core, death, sludge e psichedelia in uno scorrimento spezzettato, isterico ma non insensato. A distorcere il significato, tramutando ogni singola traccia in un viaggio oltre i limiti delle possibilità espressive, è l’effettistica e il duettare di chitarre e synth, che contaminandosi a vicenda partoriscono scie di suono incomparabili, fluttuanti nella desolazione del cosmo. Il terzetto almeno in parte frequenta gli ambienti dei migliori esponenti del settore: inanella riff contorti, scarica addosso pattern di batteria cruenti a forza di strappi singhiozzanti, vomita scelleratezza tramite una voce selvaggia e multiforme. È un modo per caricarsi, introiettare la forza necessaria a farsi sparare fuori dalla Terra e farci provare l’ebbrezza di esplosioni strumentali allucinanti, che sfidano il più strafottente avanguardismo, battendolo sul terreno della comprensione e della fruibilità. Sì, perché non c’è dispersione di energie, idee, talento, vi è coerenza interiore nell’album, ogni nota al posto giusto nel suo viaggio fantascientifico verso un futuro terribilmente disumano. Quasi un’ora di musica dissoluta, impregnata di genio e svelante a ogni angolo guizzi di classe inarrivabile. Magari non ci potrà essere lo stesso stupore generato a suo tempo da “The Order Of The False Eye” o da “Quasi-Hallucinogenic Sonic Landscapes”, ma la qualità rimane altissima, confermando Hersemann tra le menti più brillanti dell’extreme metal contemporaneo.