7.0
- Band: GLASS CASKET
- Durata: 00:33:26
- Disponibile dal: 27/10/2006
- Etichetta:
- Abacus Recordings
- Distributore: EMI
Spotify:
Apple Music:
Compreso tra gli arpeggi post-core languidi e sognanti di “Phenomenon” e il recitato filtrato su decadente base pianistica di “Name Above All Names”, ecco racchiuso in sette tracce l’assalto frontale e poderosamente metallico dei Glass Casket, combo del North Carolina giunto al secondo lavoro, dopo il ben accolto “We Are Gathered Here Today…”. La band sembra, almeno a livello visivo e promozionale, l’ennesima new sensation del metal-core americano e affini, ma non è proprio così: andando oltre le apparenze e scoprendo presto la presenza, all’interno della line-up, di due membri dei Between The Buried And Me – il primo chitarrista Dutie Waring ed il batterista Blake Richardson – si nota subito come i Glass Casket cerchino di risultare il meno possibile derivativi e, perlomeno, un po’ originali. La missione non è totalmente compiuta, in quanto i nostri non riescono ad imprimere al proprio songwriting un tocco totalmente esclusivo, ma certo i ragazzi ci sanno fare: niente voci pulite, nessuno stacco progressivo, breakdown mosh presenti ma contenuti in numero sopportabile; in “Desperate Man’s Diary” si punta soprattutto sull’impatto del riffing, spaziante con discreta fantasia tra death, thrash, brutal e stacchi –core, e sull’imprevedibilità delle evoluzioni batteristiche e chitarristiche dei due compari dei Between The Buried And Me. L’influenza del gruppo appena citato permane quindi piuttosto evidente, soprattutto all’altezza delle soluzioni stilistiche alla sei-corde, usate davvero in maniera abbondante e prolungata, peculiarità che risulta a favore dei Glass Casket, in quanto pochi gruppi nel genere sono soliti inserire assoli chilometrici nei loro brani. Bleeding Through, Becoming The Archetype, Hell Within, Fear My Thoughts, The Black Dahlia Murder – perfino i Naglfar a tratti! – sono i nomi che tornano alla mente durante l’ascolto di “Desperate Man’s Diary”, un lavoro che si fa certamente apprezzare ma che non esalta completamente. Il growl cavernoso di Adam Cody, alternato al classico screaming metal-core, è particolarmente efficace e concede pochi superstiti, mentre le tracce migliori risultano essere “Too Scared To Live”, “I Slept” e “A Cork Stops The Whining”. Indicato soprattutto per i cultori del metal americano moderno più feroce e brutal-oriented, questo dischetto non farà saltare dalla sedia, ma una bella mezz’oretta di violenza scaccia-tensione certo ve la saprà regalare! Da speranza a promessa… realtà al prossimo giro?