8.0
- Band: GLENN HUGHES
- Durata: 00:53:07
- Disponibile dal: 04/11/2016
- Etichetta:
- Frontiers
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A otto anni di distanza dalla pubblicazione dell’eclettico “First Underground Nuclear Kitchen”, il redivivo Glenn Hughes realizza il quattordicesimo album da solista che, a conti fatti, rappresenta il coronamento di una carriera artistica estremamente intensa, sovente costellata da opere di alta qualità, alternate da qualche inevitabile caduta di tono. Nel frattempo, il navigato autore britannico ha offerto il suo smisurato talento nei confronti di una serie di progetti degni di nota come Black Country Communion, California Breed e Voodoo Hill, prima di rimettersi al lavoro per conto proprio. In questa specifica occasione, il protagonista ha concepito dieci episodi potenti e ottimamente strutturati, dai quali traspare a chiare lettere la volontà di recuperare gran parte dell’energia insita nel torrido hard rock plasmato durante la sua breve militanza nella terza incarnazione dei Deep Purple. Affiancato dal chitarrista e produttore Søren Andersen, dal batterista Pontus Enborg e dal sorprendente tastierista Lachy Doley, Hughes immerge le nostre sinapsi in un vasto oceano color porpora per cinquanta minuti abbondanti. Appare francamente impossibile non restare ammaliati dagli elaborati tappeti di Hammond tessuti dal buon Doley, autorevole architetto in grado di disegnare, con straordinaria sensibilità, maestose cattedrali elaborate sui modelli forgiati in passato da artisti del calibro di Jon Lord e Ken Hensley. Il pinnacolo dell’opera viene inevitabilmente raggiunto all’altezza della meravigliosa triade composta dalla dinamica e cangiante “Steady”, dalla robusta e solenne “God Of Money” e dall’incalzante anthem “How Long”, quest’ultima resa a dir poco irresistibile da una melodia vocale portante di sicuro impatto. L’innata passione per la musica nera emerge a chiare lettere dal languido funk di “Landmines”, così come la soffusa ballata “When I Fall” palesa un amore per il soul più intenso e raffinato. Facilmente pronosticabile la presenza del tentacolare batterista dei Red Hot Chili Peppers, Chad Smith, il quale dona il suo inconfondibile tocco colorato su “Heavy”, egregiamente in bilico tra funk e hard rock. “Long Time Gone” si presenta come un malinconico epitaffio ad alto tasso melodico, meritevole di porre un autorevole sigillo su un album qualitativamente ineccepibile.