7.5
- Band: GLI ALBERI
- Durata: 00:51:11
- Disponibile dal: 01/12/2022
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Per capire un album come “Reinhold”, è necessario comprendere come questa sia un’opera a tuttotondo: i dieci brani, infatti, narrano la storia della tragica scalata dei fratelli Messner al Nanga Parbat, conclusasi con la scomparsa del più giovane Günther, ed in futuro sono previste rappresentazioni teatrali con proiezioni di video ed installazioni artistiche.
Chi ama la musica che recensiamo sul nostro portale è sicuramente avvezzo a storie di neve, condizioni estreme e dolorose dipartite, ma bisogna ammettere che in questo caso il concept è veramente originale (qualcosa di paragonabile è forse “Sorni Nai” dei Kauan, possibile fonte di ispirazione) e probabilmente il solo ascolto non è sufficiente a completare un’esperienza che, se mantiene le aspettative, potrebbe rivelarsi ancor più interessante. Fatte le doverose premesse, torniamo per un attimo al quadro generale: Gli Alberi è un quartetto di Torino attivo dal 2015 e già autore di un EP, un disco e diversi singoli, in cui le tematiche trattate riguardano spesso la connessione spirituale tra l’uomo e la natura, ma niente che giustificasse l’hype che si è creato attorno a questa nuova uscita e che, possiamo dirlo, vale l’attesa. “Reinhold” è un album che necessita di uno sforzo a livello di ascolto, complesso nelle strutture ma non nelle sonorità, in cui a farla da padrone sono le atmosfere, totalmente asservite all’esposizione in un continuo saliscendi di intensità, passando da toni suadenti ad altri drammatici a seconda degli accadimenti. In questi cinquanta minuti di musica troviamo del delicato post-rock, sfuriate tipiche del black metal più gelido, riff arcigni provenienti dal doom, moltissimo ambient dal sapore dark, accenni di cori alpini e anche un po’ di italianità, non tanto per i testi nella nostra lingua quanto per il duttile cantato di Arianna Prette, che si intreccia con la voce in screaming ma rappresenta certamente il filo conduttore dei brani e, con il suo carattere narrativo, ha un vago sentore prog. In apertura e chiusura, due pezzi che simboleggiano la maestosità della natura che l’uomo va ad affrontare ma sull’immutabilità della quale non ha la minima influenza, travolto com’è da eventi ineluttabili, ed in mezzo la storia vera e propria, con tutte le sue emozioni ed i suoi drammi: il ritrovo del gruppo composto da persone di diverse nazionalità (“Babele”), il timore per la grandezza dell’impresa e una sorta di dichiarazione di intenti che rivela anche una latente rivalità tra gli alpinisti (“Danza Pallida” e “Noialtri”), l’ascesa e le difficoltà che ne conseguono (“Sulla Vetta”, cinque minuti attraverso una bufera di neve, e “Aspettami”), il famoso incontro con lo yeti (“Sindrome Del Terzo Uomo”) ed infine la consapevolezza della tragedia ormai avvenuta (“Vuoto Alle Spalle”); tutto con un forte spirito descrittivo e da vivere come la colonna sonora di un documentario.
Magari alcuni aspetti sono perfettibili – ad esempio la qualità dei suoni potrebbe essere migliore o si sarebbe potuta inserire qualche soluzione meno prevedibile – ma il giudizio fortemente positivo è dovuto per la creatività, l’originalità ed il coraggio.