6.5
- Band: GLORIOR BELLI
- Durata: 00:48:11
- Disponibile dal: 06/05/2016
- Etichetta: Agonia Records
- Distributore: Masterpiece
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Nove album in quindici anni contraddistinguono l’operato dei Glorior Belli ad oggi, un dato piuttosto significativo circa la prolificità del leader Billy Bayou e della sua creatura, capace sino ad oggi di evolversi entro i sinuosi canoni del black metal più oltreconfine, fino a sfociare con le recenti uscite in territori piuttosto distanti dalla matrice truce dei primi tempi in favore di derive stoner effettivamente mal digerite da chi dei Glorior Belli aveva maggiormente apprezzato il carattere caustico e velenosamente melodico di “Manifesting The Raging Beast” ed il successivo “Meet Us At The Southern Sign”, esempi di black metal contaminato ma ancora dannatamente maligno e ferale. “Sundown” dunque, tenta di riprendere le fila del discorso partendo proprio dalla sopracitata uscita discografica, abbandonando in larga parte lo spirito southern e concentrandosi nuovamente sulla creatività inquieta del francese, che torna ad accompagnare il suo screaming lacerante con un suono adeguatamente grezzo ed un riffing altrettanto affilato e coinvolgente, ispirato nei momenti di “Lies-Strangled Skies” ed avvolgente nello sviluppo di “World So Spurious”, canzoni di apertura che vanno a collegarsi direttamente con il migliore passato della band. Qualche scoria poco omogenea al contesto emerge ancora all’altezza di “Rebels In Disguise”, basata su un riff pseudo-doom dalla cadenza stralunata, ma riesce ad evolversi, nella parte centrale dell’album, nei migliori episodi presenti in “Sundown”: “Thrall Of Illusion” ammorba l’ascolto sin dalla temibile introduzione strumentale in un crescendo di rabbia ed emozione che si dipana lungo tutto il pezzo, prima di esplodere in un estasi di malevolenza proprio nella sorprendente titletrack, contenente tutto il glorioso disprezzo delle primissime releases coniugato in una veste innovativa assolutamente infestante e suggestiva. Dispiace notare un generale appassimento dei toni nelle partiture che conducono al termine dell’ascolto, canzoni con verve meno incisiva assemblate soprattutto con meno perizia rispetto alle altre. “We Whose Glory Was Despised” comunque, chiude il sipario con l’adeguato trasporto atmosferico richiesto da un lavoro di questo genere, capace di riflettere una violenza magniloquente stemperata continuamente da un afflato melodico complesso e stratificato. Dopo aver fatto a pezzi la propria identità fino a renderla quasi irriconoscibile, oggi i Glorior Belli sembrano ricomporsi solidamente intorno al nucleo della loro vecchia essenza, non raggiungendo forse i picchi qualitativi del passato ma riuscendo comunque in un abile passo indietro che fortunatamente non puzza di artificioso o poco credibile nei solchi di “Sundown”.