7.0
- Band: GLORIOUS DEPRAVITY
- Durata: 00:30:00
- Disponibile dal: 27/11/2020
- Etichetta:
- Translation Loss
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Dopo i deliri metropolitani dei Pyrrhon e le vibrazioni malinconiche dei Weeping Sores, il cantante/polistrumentista Doug Moore torna a farci visita con un progetto che, coerentemente alla sua vena poliedrica e al suo notevole bagaglio di influenze, lo vede rimescolare ancora una volta le carte in tavola rispetto a quanto fatto in precedenza. Sempre di metal estremo si parla (e non potrebbe essere altrimenti), ma crediamo che il monicker ispirato ai mitici Ripping Corpse la dica lunga su quanto qui la faccenda sia molto più brutale e ‘straight to the point’ di quella contenuta nei recenti “Abscess Time” e “False Confession”, andando a rimestare nella scena death metal dei Nineties con evidente brama di esprimersi attraverso certi registri.
Spalleggiato quindi da altre vecchie conoscenze del circuito newyorkese, tra cui il chitarrista dei Mutilation Rites George Paul, il Nostro tortura nuovamente le proprie corde vocali sulla scia di un metallo della morte parimenti tecnico e impattante, decifrabile e convulso, il quale evita di rifarsi per filo e per segno ad un determinato gruppo/filone in favore di un approccio più libero e spontaneo. Un suono che abbraccia sia la concatenazione di riff assassini della vecchia band di Erik Rutan che le progressioni ingegnose dei Monstrosity di “Millennium” e “In Dark Purity”, passando per una densità di trame giocoforza ispirata a gente come Gorguts, Immolation e Morbid Angel, per un risultato finale curato e pregevole come sovviene ai gruppi capitanati da Moore.
Brani mordaci e ricchi di spunti nonostante la breve durata (trenta i minuti complessivi) scandiscono “Ageless Violence” in un percorso sonoro avvincente e sostanzialmente privo di cadute di stile, il quale – pur non attestandosi ai livelli di certa concorrenza a stelle e strisce – non può che essere definito come un buon punto di partenza per il quintetto della Grande Mela. Episodi come “Ocean of Scabs”, “Incel Christ” e “Hospital Incinerator Blues” sono qui apposta a dimostrarlo.