7.5
- Band: GNAW THEIR TONGUES
- Durata: 00:39:43
- Disponibile dal: 09/12/2016
- Etichetta:
- Consouling Sounds
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Non finiremo mai di interrogarci su quali accadimenti abbiano spinto Moires a diventare quello che è oggi. Un efferato manipolatore dei suoni più scabrosi esistenti, un truce storpiatore di note, divulgatore di linguaggi osceni e promulgatore di sinfonie dell’assurdo, che nel tratteggiare scempi e atrocità perseguono il fine ultimo di inoculare un tremendo disagio. La cadenza delle pubblicazioni a firma Gnaw Their Tongues tiene un ritmo frenetico, Moires ha sempre fame della nostra paura, idee perverse gli nascono nella testa e lì non possono rimanere, debbono uscire per forza allo scoperto e manifestarsi. Così, assecondando nuovamente i suoi bassi istinti e la volontà di far confluire in intrugli di black metal, industrial, noise, drone e punk stati di immondo malessere e carica omicida, il corpulento musicista olandese dà alle stampe un altro album. Il decimo, in mezzo a squadriglie disordinate di EP e split. Tanta prolificità non ha sottratto brillantezza al songwriting, che non accenna a scadere nel bieco manierismo o in furberie di bassa lega, atte a provocare reazioni scontate e far spellare le mani a chi confonde il rumorismo con l’arte. Per quanto possa sembrare buffo usare una tale terminologia per l’operato degli Gnaw Their Tongues, vi è stato un raffinamento nel modo di operare. Il suono è stato ripulito delle propaggini più disturbanti, limando quel senso di caos sguaiato che l’elettronica era solita suscitare nelle pubblicazioni passate, pensiamo soltanto al sovraccarico neuronale di “Eschatological Scatology”. Anche le sortite propriamente grind appaiono in dosi più contenute e il rallentamento complessivo genera scenari difformi, seppure simili, a quelli che sarebbe lecito attendersi. I brani si muovono a scatti, vi sono fratture ovunque, fessurazioni e slabbramenti, pur persistendo un grado di ascoltabilità non diciamo facile, ma tale da far comprendere nitidamente tutti gli elementi rimestati da Moires. Le chitarre si deformano in un ambient-doom tenebroso, uscendo sovente di scena per lasciar vagare dondolamenti da soundtrack, perennemente deturpati da effetti, rumori, orchestrazioni che partono gelide, quasi aristocratiche, e si straziano man mano che vanno espandendosi. Il basso, tremolante in enormi pulsazioni gorgoglianti, osserva arcigno e fa da risonanza. Pensate al disco come all’incrocio di miriadi di traiettorie sonore, che si accavallano, si mescolano, si scontrano. A volte un input scompare nell’altro, in altri casi nasce qualcosa di nuovo, in analogia o in antitesi alla semplice somma delle singole parti. Il battito martellante della drum-machine paralizza, sinfonie sfregiate trascinano nel buio, le chitarre abbruttiscono e umiliano. Splendido il set vocale impiegato, che a un’analisi superficiale potrebbe essere derubricato a un semplice vociare isterico figlio della pazzia incontrollata: sbagliato, nulla è solo istintivo negli Gnaw Their Tongues. Al sordido latrato si accompagnano fugaci baritonali e striscianti salmodiare, e si fa pure ricorso intelligentemente a risorse esterne, siano l’intervento di una voce lirica femminile in “Our Mouths Ridden With Worms” (ad opera dell’ospite Hekte Zaren), oppure l’urlo di un bimbo irrequieto in “Hold High The Banners Of Truth Among The Swollen Dead”. Più in generale, i filtri a cui il semplice suono prodotto dalle corde vocali è sottoposto ne trasfigurano completamente il carattere primigenio, assecondando il malato tramestio interiore dell’artista. Ripetiamo, visto quanto sono rivoltanti certe pubblicazioni passate, “Hymns For The Broken, Swollen And Silent” potrebbe essere definito uno dei dischi più scorrevoli partoriti dal progetto. Un altro degenerato capitolo di una discografia unica e raccapricciante.