7.0
- Band: GNAW THEIR TONGUES
- Durata: 00:35:00
- Disponibile dal: 03/04/2020
- Etichetta:
- Consouling Sounds
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Mories notoriamente non se ne sta con le mani in mano a lungo, anche il 2020 lo ha già visto apparire sul mercato discografico con diversi nuovi capitoli dei tanti suoi progetti, non poteva quindi mancare alla lista il più celebre di questi, ovvero Gnaw Their Tongues. “I Speak The Truth, Yet With Every Word Uttered, Thousands Die” è il quattordicesimo album, cui vanno aggiunti una sfilza di split, collaborazioni ed EP, per quella che quantitativamente è una discografia non meno che monumentale. Va osservato che il materiale prodotto dal musicista olandese di rado scende sotto una minima soglia qualitativa, non abusando della pazienza dei suoi affezionati fan e testando spesso qualche variazione sul tema. Insomma, nessun disco fotocopia in arrivo, quando c’è Mories di mezzo. Toccato l’apice di ‘ascoltabilità’ con l’ottimo “Hymns For The Broken, Swollen And Silent”, nel quale la matrice metal era importante almeno quanto quella industrial-noise e lo sviluppo delle canzoni prevedeva una certa coerenza e ariosità – nei limiti di quanto questo concetta possa applicarsi a Gnaw Their Tongues – già con “Genocidal Majesty” si è andati in senso inverso.
Ripudiata la strumentazione metal ‘umana’, Mories si è dedicato a un’atroce dissezione di noise, industrial e ambient, flirtando con il rumorismo e compromettendosi volentieri con esso. Ora con questo “I Speak The Truth…” abbandona ogni remora nell’uccidere quel poco di musicalità che il progetto esprimeva. Il messaggio di deformità, obbrobrio, coercizione e sfregio del prossimo in forma sonora è affidato a uno scheletro sonoro cui è stata levata a forza, brutalmente, qualsiasi ‘carne’ di suono organico. La registrazione, anche per gli standard del corpulento polistrumentista orange, è un abominio che risponde al nichilismo più bieco del noise, quando cerca semplicemente di straziare l’uditorio. I primi ascolti, al cospetto di suoni distanti, zanzarosi oltre il concepibile, sui quali emergono a stento perfino le urla disarticolate del mastermind, destano parecchie perplessità. Va dipanata un attimo la matassa, ecco. Prendere dimestichezza con un’ostilità sopra la media perfino per quel che accade usualmente con Gnaw Their Tongues.
La frammentarietà e l’incoerenza dell’opera prendono allora consistenza: il tono è quello di una tremenda soundtrack horror/thriller, costantemente evocatrice di raccapriccio. I rimbombi della drum-machine sono cadute di corpi, le voci quelle di un’animale intrappolato in una tagliola, incapace di sottrarsi ad altre sofferenze di lì a poco in arrivo. La comatosità doom di una “Purity Coffins”, un’asfissia mortuaria della peggior specie, racconta ineluttabilmente l’innato talento di Mories nel generare sgomento, il porre in tensione senza sovraccaricare né gonfiare inutilmente il suono di elementi in eccesso. Quando il discorso si fa più caotico e astratto, l’accavallarsi di sferragliamenti, voci e tambureggiamenti programmati al computer tende a una ferocia agghiacciante, che pur ricorrendo a idee non così innovative porta con sé un potere suggestionante invidiabile. Andando di sottrazione, lasciando un drone a imperversare e qualche voce lamentosa, oppure gorgogliante, a peregrinare fra macerie digitali, l’album va a trovare il suo significato più profondo (“To Rival Death In Beauty”, “A Sombre Gesture In The Faint Light Of Dusk”), vincendo le resistenze con minori difficoltà di quante se ne palesassero a un primo approccio. Lievi sentori armonici di sottofondo (“Shall Be No More”), provenienti da ectoplasmatici synth, sono gli unici refoli d’ossigeno fra i miasmi. Neanche in questa occasione Gnaw Their Tongues delude, i fan dell’iperproduttivo musicista dei Paesi Bassi gradiranno anche stavolta.