6.5
- Band: GOATH
- Durata: 00:40:14
- Disponibile dal: 09/04/2021
- Etichetta:
- Ván Records
- Distributore: Audioglobe
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I Goath sono probabilmente la formazione più grezza e bastarda dell’intero roster Ván Records. Gente che, se non fosse per le eleganti vesti grafiche di Misanthropic Art (Asphyx, Fulci, Hooded Menace), non ci stupiremmo di vedere patrocinata da etichette come la Nuclear War Now! o l’Iron Bonehead, con tutto ciò che ne consegue in termini di approccio primitivo e sguaiato alla materia estrema. Fin dai suoi albori, il trio bavarese vive orgogliosamente in una dimensione sonora ferma al ’93 o giù di lì, e anche con “III: Shaped by the Unlight” non sembra per nulla intenzionato a mescolare le carte in tavola o ad assumersi grossi rischi, confezionando l’ennesima tracklist tutta sangue, borchie e bestemmie che un certo tipo di platea underground non potrà fare a meno di adorare.
I riferimenti stilistici sono quindi quelli delle puntate precedenti: Blasphemy, Mystifier e Profanatica risultano ancora in cima alle preferenze del gruppo, con poi qualche rimando ai Deicide dell’esordio e agli Slayer del periodo “Show No Mercy”/“Hell Awaits” per quanto concerne i frangenti più tecnici ed ‘elaborati’, per una quarantina di minuti di musica che – tolto l’epico finale di “Impregnated with Black Fire”, midtempone ricco di melodie anni Ottanta – viaggiano serenamente su binari diabolici e arcinoti. Ovviamente la personalità è quella che è, la scrittura non ci prova neppure a scegliere soluzioni diverse dall’usato garantito, ma nel complesso – vuoi per un’attitudine da ‘defender’ pressoché tangibile, vuoi per una produzione come sempre profonda e curata – anche gli episodi di questa terza fatica sulla lunga distanza si lasciano ascoltare piacevolmente.
Soprattutto l’incipit, grazie alla tripletta “Symbiosis of Vengeance and Guilt”/“Pretending to Serve While Raping”/“Shaped by the Unlight”, ci mostra il lato migliore dei Goath, fatto del giusto mix di concretezza, ferocia e trame orecchiabili, mentre più avanti nell’ascolto tocca segnalare anche qualche filler e calo di ispirazione, i quali comunque evitano di far perdere la bussola al disco.
Come detto, Goathammer e compagni non hanno mai avuto la pretesa di riscrivere le pagine del black/death, facendo anzi di tutto per omaggiare il più fedelmente possibile le vere origini del genere, e con questo concetto ben impresso in mente andrebbero sempre avvicinati. A buon intenditor poche parole.