7.0
- Band: GOATWHORE
- Durata: 00:37:29
- Disponibile dal: 08/07/2014
- Etichetta: Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Costanti nella cadenza delle loro uscite e, tutto sommato, anche nella qualità del songwriting, i Goatwhore sono diventati nell’ultimo decennio un nome di un certo affidamento nel panorama metal a stelle e strisce. Lontani dall’essere un culto underground, ma certamente nemmeno avvicinabili a formazioni affermate tra le grandi masse e vicini al mondo mainstream, i Nostri possono venire inseriti in quella schiera di band che comprende anche nomi come Skeletonwitch o 3 Inches Of Blood; gente che vive di pane e metal, musicisti genuini, senza la cosiddetta stoffa dei fuoriclasse, ma che tengono alla causa e che sembrano sempre impegnarsi al massimo. “Constricting Rage Of The Merciless” pare un filo meno ispirato del precedente “Blood For The Master”, ma nel complesso è comunque il classico disco targato Goatwhore, che dovrebbe soddisfare i fan del quartetto, così come strappare uno o due sorrisi ai vari simpatizzanti. Difficile immaginare il gruppo “esplodere” in seguito alla pubblicazione del platter, così come appare improbabile che coloro che hanno seguito il combo sin qua lo abbandonino tutto ad un tratto. Come al solito, siamo di fronte ad un ibrido thrash/black metal dalla chiara matrice vecchia scuola: un po’ Slayer, un po’ Bathory, un po’ Celtic Frost, un po’ Immortal… la componente thrash si sente quasi sempre nelle ritmiche e nell’impostazione dei riff portanti, mentre quella black (o death) emerge nelle linee vocali di Ben Falgoust II e nell’atmosfera maligna che i Nostri tendono sempre a creare. La tracklist si apre bene con la rabbiosa “Poisonous Existence In Reawakening”, ma presenta il suo vero highlight all’altezza di “Cold Earth Consumed in Dying Flesh”, composizione più lunga e strutturata dove i Goatwhore riescono a condensare con notevole coerenza tutte le loro ormai note influenze. La sorpresa del disco è invece rappresentata da “Schadenfreude”, canzone più emotiva e quasi “dark” metal a tratti: un esperimento inaspettato, eppure piuttosto riuscito, utile soprattutto a spezzare il ritmo del finale, dove in effetti si rintracciano alcuni filler (come la conclusiva “Externalize This Hidden Savagery”). Avvalendosi ancora una volta con successo della consulenza di Erik Rutan in sede di produzione, gli statunitensi, alla fine dei conti, sfornano un’opera gradevole, che ha anche il pregio di mantenersi entro una durata succinta. “Constricting…” probabilmente non cambierà la vita a nessuno, ma i fan dei Goatwhore in cerca di conferme verranno accontentati.