7.0
- Band: GOBLIN REBIRTH
- Durata: 00:43:44
- Disponibile dal: 29/06/2015
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
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Non bisogna per forza di cose essere ancorati al passato. Guardare avanti. Sempre. E non porsi troppe domande. Neppure quando queste domande nascono da riflessioni e si trasformano in dubbi. Ed i dubbi in domande. Un circolo vizioso da cui è impossibile uscirne fuori. Un dubbio atroce nasce dal passato e va morire nel futuro prossimo. Perché mostri sacri della musica quali Marangolo e Pignatelli hanno intrapreso questa avventura? Perché hanno voluto riesumare ancora una volta il nome Goblin? Cosa ha spinto questi due grandi musicisti a compiere un’operazione del genere? E’ solo mossa commerciale? Domande che non avranno risposte. Ed i dubbi rimarranno. Alcuni di questi però in parte potrebbero essere dissolti da questo dischetto. Il debutto dei nuovi Goblin senza l’anima tormentata e visionaria di Claudio Simonetti. Alla luce di quanto è successo in questi ultimi anni tra reunion, progetti, side projects tutte con il nome della mitica e leggendaria band degli anni Settanta, i Goblin Rebirth sono la risposta unica e più credibile a tutte le domande poste prima ed alle mille vicissitudini che si sono create tra i vari componenti della band. Spazzate via dalla bellezza e sincerità della musica contenuta in questo bignami del prog d’annata, i Goblin Rebirth sono quindi la creatura di Pignatelli e Marangolo coadiuvati da altri artisti non meno famosi e capaci. Otto canzoni che ripercorono le gesta del fratello maggiore ormai incanutito ed invecchiato. Otto pezzi che vanno a comporre un mosaico sonoro che prende spunto dall’immortalità di “Profondo Rosso” e lo attualizza in una versione più dinamica e spigolosa. I riferimenti al prog degli anni Settanta sono ancora presenti come in bella mostra l’estro compositivo che non lesina suite ai tasti d’avorio celestiali e sognanti. La sezione ritmica non è da discutere. Neppure quando si voglia lodare la maestria e la profetica bravura del duo Marangolo-Pignatelli. Questa è scuola che va assimilata è preservata come uno dei più preziosi bagagli culturali della nostra martoriata storia musicale. “Back In 74” è forse il pezzo più rappresentativo dell’album. Non per altro il titolo richiama alle gesta che fecero grandi i Goblin ma in un modo più avanguardistico e sperimetale. Le otto canzoni scorrono veloci, suadenti, cariche di pathos emotivo con mille soluzioni strutturali e sfumature melodiche che sfiorano la grandeur di mostri sacri anglosassoni. “Evil In The Machine” è il pezzo più sperimentale e trasversale dell’intero album. Quella voce filtrata e campionata su una base space rock ricorda davvero qualcosa di anomalo e terrificante insidiato nella macchina uomo. La componente filmica e cinematografica non sfugge ai Goblin Rebirth. E come potrebbe. Sono i padri fondatori di un genere musicale. Non siamo certo noi a scoprire la bravura di questi musicisti, la loro musica dovrebbe bastare. Ascoltate “Goblin Rebirth” e lasciatevi andare senza porvi troppe domande. Viaggiate con la mente, il vostro stato emotivo vi ringrazierà.