7.0
- Band: GOD IS AN ASTRONAUT
- Durata: 00:57:52
- Disponibile dal: 06/09/2024
- Etichetta:
- Napalm Records
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Un ritorno come sempre gradito, quello dei God Is An Astronaut, gruppo che ricade nell’ambito di quel genere di post-rock strumentale e in questo panorama ha saldamente posizionato le proprie radici, con una ventina d’anni buona di presenza e almeno un paio di momenti di livello altissimo – uno su tutti “All Is Violent, All Is Bright”.
Questa nuova prova, la dodicesima, vede una band alle prese con un’introspezione meno malinconica del solito, anzi, in alcuni casi anche volta ad esplorare tanto le volte celesti (molto care ai fratelli Kinsella e spesso presenti nelle loro eteree scorribande) quanto paesaggi orientali come in “Apparition”, opener capace di riportare immediatamente alle atmosfere migliori degli irlandesi, e che dipana verso metà brano in ritmiche decise intervallate da sitar misticheggianti. Potrebbe far pensare ad un excursus multietnico, ma cambiamo idea quando parte “Falling Leaves”: il secondo brano infatti riprende anch’esso arie a loro modo nostalgiche e facilmente ascrivibili ai GIAA, me del versante più trasognato e serafico, pur non rinunciando a sortite prettamente elettriche (come nella title-track, ad esempio, che dal vivo farà la sua signora figura coi suoi dieci minuti a tratti belli ritmati, a volte interlocutori, altre volte più rock che ‘post-‘, con un uso della chitarra piuttosto elettrico e distorto).
Tempi lenti e dilatati (prendete “Realms” o “Prism”), che si prendono il loro spazio, sempre con un’attenzione costante dedicata al viaggio, alle culture più disparate, ad una certa astralità cosmica. E più o meno sarà questo il mood generale di “Embers”, un disco nel quale nei nove brani proposti si vagheggia, si accenna, si resta tutto sommato in territori ben chiari e definiti da parte del gruppo, ma lo si fa in maniera abbastanza cinematografica e pacifica (diteci se “Heart Of Roots” non sarebbe perfetta come sigla di una serie crime).
Questo nuovo lavoro non sembra dover esprimere nessun disagio, insomma: vuole semplicemente lasciarsi trasportare, assieme all’ascoltatore, nelle immagini che ciascuno può provare a disegnare per sé, intento particolarmente riuscito nel brano “Embers” o nella conclusiva “Hourglass”, probabilmente il momento migliore del disco.
Di sicuro non hanno osato troppo, i Gods Is An Astronaut del 2024, e in alcuni casi il rimando a se stessi è anche molto preciso, talvolta un filino troppo riflessivo: in ogni caso, è abbastanza semplice apprezzare un disco del genere, magari guidando da soli su qualche strada dai panorami particolarmente ‘scenografici’, cercando di non staccarsi troppo dall’asfalto. Difficile in tal caso non lasciarsi prendere.