GODFLESH – Streetcleaner

Pubblicato il 22/06/2011 da
voto
9.0
  • Band: GODFLESH
  • Durata: 66:16
  • Disponibile dal: 03/11/1989
  • Etichetta:
  • Earache
  • Distributore: Self

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Il primo album post-metal della storia. “Streetcleaner” non è solo un grandissimo album pieno di canzoni superbe e incredibilmente innovative, ma anche e soprattutto il manifesto di una nuova era. Il certificato di nascita di un nuovo mondo metallico parallelo e completamente “fuorilegge”. “Streetcleaner” è il primo sussulto, il primo spasmo di dolore che si è fatto strada tra le macerie di una insensatezza post-industriale messa in musica che ha poi generato legioni di band deformi, infettate da mille stili diversi e stregate dalla capacità di fusione e sublimazione musicale che i Godflesh sono riusciti a possedere. Una armata sterminata di band e musicisti che hanno fatto del metal una bestia completamente “mentale” e crudele verso lo spirito e la psiche. “Streetcleaner” è forse il primo vero album “metal” i cui i suoni sono stati determinati dai drammi trattati e non viceversa. I suoni, proprio per questo, sono risultati surreali, ossessivi e del tutto inauditi. Questo album è il prodotto di due ventenni, emersi dalla ruggine della zona industriale di Birmingham nel 1987 e infettati dagli spettri più pessimistici del punk. Oltre l’anarco, oltre il crust e addirittura oltre il post-punk. Uno di questi due ectoplasmi urbani si chiamava Justin Broadrick e a soli diciotto anni aiutò a fondare una delle band più innovative ed estreme nella storia del metal, ovvero i violentissimi Napalm Death. Ragion per cui Braodrick può essere considerato un pioniere su più fronti, e padre putativo anche del grindcore oltre che del post-metal e dell’industrial metal. Un genio rivelatosi precocemente, insomma, posseduto da una fame e da una curiosità musicale uniche e probabilmente mai viste prima in un musicista così giovane nel mondo della musica estrema. Chiusa la parentesi (“noiosa”, a detta delle sue stesse parole!) grind dei Napalm Death, Broadrick si è messo immediatamente al lavoro per creare musica che fondesse alla perfezione i suoi amori più morbosi e più maniacali di allora: la pesantezza e la lentezza dei Black Sabbath, le martellanti astrazioni post-punk dei Killing Joke, lo scorticante muro di melma degli Amebix (che secondo lui nei Napalm Death non avevano trovato giusta sublimazione) e la fascinazione per le manipolazioni digitali, industrialoidi e post-Wagneriane di Coil e Throbbing Gristle, che ai suoi occhi erano la quintessenza della disperazione musicale post-moderna. Il lavoro che ne è scaturito è un massacro sonico che non solo è riuscito a fondere suddette sfere in maniera impeccabile, ma le ha addirittura trasposte, moltiplicandone a dismisura il carico emotivo e distruttivo. “Streetcleaner” è in una parola una vera “ossessione”. E’ un disco ossessivo in tutto. Nulla viene “trattato” in questo album bestiale, ma, piuttosto, morbosamente scavato fino alle ossa. Tutto di “Streetcleaner” è la ricerca malata del seme stesso dell’apocalisse in chiave musicale. I temi religiosi e cristiani (“Christbait Rising”), per esempio, sono trattati in maniera ossessiva e strisciante, dall’artwork ai testi e oltre, passando per tutte le uscite successive dei Godflesh, fino all’odierno progetto Jesu, inequivocabile in questo senso fin nel nome derivato da una canzone degli stessi Godflesh. Altro tema trattato con ossessione morbosa da Broadrick e Green in questo album è lo schifo totale per l’umanità che si è messa nelle mani di Cristo: ratti che si riproducono per Dio (“Like Rats”); l’odio per se stessi, per le membra e le carni, e la fascinazione per le macchine (“Locust Furnace”); immaginari post-industriali e lo schifo totale ma magnetico che permea la tecnologia, un morbo creato da noi uomini (“Devastator”) come surrogato della carne per permetterci di vivere (“Deadhead”) in un mondo distrutto dall’inquinamento e dalla guerra, di fatto schiavizzandoci. La trasposizione in suono di tutto ciò è un processo che Broadrick e Green hanno portato a termine con risultati da far accapponare la pelle. Le drum machine creano un arsenale robotico di beats che va ad abbozzare come una grandinata di piombo un muro insopportabile di chitarroni ribassati fin nelle fogne. Il basso usa una ripetitività assurda e martellante, solo per ribadire il ribrezzo del concept e per versare una ulteriore montagna di sale e zolfo nelle migliaia di ferite già aperte dai temi del tutto apocalittici che l’album propone con insistenza maniacale. La dissonanza e il rifiuto a tutti costi da parte di Broadrick di voler “suonare” lo strumento, quanto piuttosto torturarlo fino al sanguinamento totale di watt e basse frequenze, è uno di quegli approcci chitarristici che sta facendo scuola tutt’oggi, quasi trent’anni dopo, e che ha reso Broadrick una vera leggenda della sei corde nel mondo del doom, dello sludge e dell’industrial più contorto e cacofonico. Aggiungere altro sarebbe superflluo per un album che sfugge alle parole e alle facili descrizioni. Basti sapere che ”Streetcleaner” è un album che ha messo il suffisso “post-” davanti a una infinità di generi heavy, e che ha fatto, fa e farà  scuola ancora per molto, molto tempo, e il cui ascolto dissipa tante ombre sulla attuale condizione e forma del metallo pesante più sperimentale e contaminato. Imprescindibile.

TRACKLIST

  1. Like Rats
  2. Christbait Rising
  3. Pulp
  4. Dream Long Dead
  5. Head Dirt
  6. Devastator / Mighty Trust Krusher
  7. Life Is Easy
  8. Streetcleaner
  9. Locust Furnace
  10. Tiny Tears
  11. Wound
  12. Dead Head
  13. Suction
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