8.0
- Band: GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR
- Durata: 40:29
- Disponibile dal: 31/03/2015
- Etichetta:
- Constellation
Spotify:
Apple Music:
Difficile accontentare tutti. Difficile mantenere solido il monicker così imponente come è diventato quello dei Godspeed You! Black Emperor. Difficile anche non dimenticare le derive che i vari componenti hanno saggiato negli ultimi anni. Difficile anche non continuare a relazionarsi al passato di se stessi. Difficile indubbiamente avere anche un parere oggettivo su questo nuovo lavoro dei paladini del post-rock canadese. Coloro, tra i pochi, a potersi vantare uno status di culto nel panorama immenso che questo genere sta pian piano venendo a ricreare. Sentire questa prima “Peasantry Or ‘Light! Inside Of Light” è come risentire gli echi della banda del paese che passa sotto casa con qualche arco e qualche melodia provinciale, che però esprime un epos avente dalla sua una tradizione fuoriuscita dai (giganteschi) confini canadesi e che sembra racchiudere antologicamente lo spirito della melodia dell’Occidente, tra fanfare, stagioni di Vivaldi e inni wagneriani. Un po’ Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra, un po’ Earth, King Crimson, un po’ Slint, molto Godspeed You! Black Emperor del magniloquente soundscape precedente, “Hallelujah! Don’t Bend! Ascend!”, per quell’intenzione empatica con l’orchestrazione d’atmosfera. Un’empatia comunicativa che però viene spezzata via dall’ermetismo rumoristico del cuore di questo nuovo “Asunder, Sweet And Other Distress”. Le due tracce centrali sono infatti oscure, marcescenti e meschinamente sprezzanti di ciò che di immediato era stato pronunciato poco prima. Vagiti industriali fuoriescono da catacombe di valvole e spiriti metropolitani, “Lamb’s Breath” e “Asunder, Sweet” convogliano dentro di loro l’ermetismo lisergico dell’epopea industriale, romanzandola in rumori, vento e feedback in un impasse che non lascia spiragli. Ma dopo i droni tempestosi ritorna quel sentimentalismo pomposo, che appare solo ora dannatamente scontato e al tempo stesso climax magniloquente che riporta il romanticismo occidentale ad essere un nuovo idealismo da camera con “Piss Crowns Are Trebled”. Il materiale contenuto in questo nuovo album è fondamentalmente quello che veniva chiamato “Behemoth”: una lunga e solenne traccia, già sperimentata in sede live in questi ultimi anni e che segna il sound GY!BE post-reunion vero e proprio (ben oltre i rimaneggiamenti del materiale del 2000 da cui era nato l’album del welcome-back “Hallelujah! Don’t Bend! Ascend”, pur essendone molto vicino in termini di impatto strumentale). Come anche album meno lungo della discografia della band, “Asunder, Sweet And Other Distress” è quella traccia di quaranta minuti in tre atti (divisi in quattro tracce) che ottiene un restyling/riassunto del proprio sound, di se stessi, della propria storia, diventando correlativo oggettivo – come direbbe T.S. Eliot – di una generazione post-qualcosa. Waste-land post-industriale, bandiera post-rock, dimensione post-apocalittica alla Philip K. Dick o alla McCarthy di “The Road”, oltre-comunque-qualcosa. Un paesaggio innevato del Quebec verso un mondo che finisce e un mondo che ricomincia in eterno. Ben al di là del mero giudizio di gusto e più verso una condizione di musica da camera, che è dopotutto rimasta sempre simbolo del gruppo canadese. A sua volta – ancora una volta – simbolo di una musica senza confini, senza (pre)giudizi e senza barriere. Oscura ed illuminante. Abissale ed epifanica. Voti e paragoni contano poco.