7.5
- Band: GOODBYE KINGS
- Durata: 00:49:51
- Disponibile dal: 27/05/2019
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Il sig. Louis Daguerre chissà se si fosse reso conto, quando riuscì a compiere quella specie di procedimento magico di fissare su una lastra di rame delle immagini, tramite la sensibilizzazione alla luce di uno strato d’argento (si chiamerà, in suo onore, dagherrotipo), di quali straordinari sviluppi sarebbero derivati dall’invenzione. Se paragonato ai tempi della storia, il passaggio da un procedimento del genere all’esuberante ed esagerata produzione foto-videografica attuale, il passo è stato brevissimo, in ragione di un cambiamento tecnologico vertiginoso. Da bravi analisti e riflessivi pensatori esistenzialisti, mentre il mondo si ubriaca e si pavoneggia specchiandosi in ciò che fotografa e filma, i Goodbye, Kings tornano indietro nel tempo, per raccontarci dalla loro personale prospettiva cosa comporti fermare l’attimo, catturare un soggetto e renderne imperiture le forme, e quanto ciò abbia stravolto il modo in cui l’uomo guarda a se stesso e quel che lo circonda.
Il dagherrotipo della luna diventa una metafora della nostra piccolezza rispetto ai misteri del cosmo, la nostra insignificanza, pur sedotti e intrappolati dalla nostra superbia tecnologica, in confronto alla grandiosità di una natura che, per quanto esplorata, persiste nel non poter essere pienamente spiegata e rimane inconoscibile tanto più ci si allontana dal nostro pianeta. Il merito della band milanese è quello di aderire perfettamente al concept di riferimento, illustrando il suo pensiero con meticolosa dovizia di particolari, attraverso composizioni spezzettate che hanno la parvenza, oggi come non mai, di una serie di istantanee, di diapositive, che ci vengono proiettate dinnanzi. Una sequenza in questo caso più difficile da decifrare che negli album precedenti, già di per sé piuttosto ermetici, ma nei quali l’ancoraggio al post-rock era maggiore. Oggi tale etichettatura vale giusto per dare un primo orientamento, perché la corrente eterea e rasserenante del collettivo sfila i legacci rimasti coi generi, ridefinendo le sue stesse coordinate sotto una nuova luce.
L’esperienza diventa simile a quella di una colonna sonora, la miscela di chitarre elettriche e acustiche, sax, percussioni, synth rivede il suo bilanciamento e mette un diverso strumento al centro della scena da una traccia all’altra. Le tastiere, architrave di “Vento”, rimangono fondamentali nella loro serena limpidezza, sfoggio di note lucenti che fanno volare l’immaginazione, mentre a dare ardore e compiutezza ci pensano i crescendo di chitarra acustica e le improvvise sferzate metalliche della chitarra elettrica. L’appisolarsi in oasi di pace, con gli strumenti che si accavallano flebili in sottofondo intimisti di grande finezza, contornati a volte da indolenti ricami di sax e fredde intrusioni elettroniche, fanno da contraltare a squarci di brillante vitalità e lo sfrangiarsi delle strutture in mormoranti sinfonie.
I saliscendi di intensità sono affrontati con progressioni soffuse, a cui se necessario si aggiungono rumori utili a meglio delineare l’atmosfera del momento. Così docili eppure metodicamente complessi e stratificati, le composizioni tranquille con brio dei Goodbye, Kings ricordano talune derive dei Kayo Dot e le visioni soliste del loro mastermind Toby Driver; una miscellanea di stili solo in parte decifrabili, volta a tratteggiare un universo sensoriale avaro di risposte immediate, comprensibile solo grazie a un ascolto concentrato e devoto. La tentazione alle percussioni diffuse e irrequiete, in tensione opposta al carattere controllato e non brusco degli altri strumenti, può scatenare ritmi coinvolgenti, come indurci a un’inquieta attesa. In fondo, però, la sensazione più palpabile in “A Moon Daguerreotype” è quella di un persistente struggimento, misto al sospetto di essere soggiogati da uno strano incantesimo, quando la musica illanguidisce e sfuma in un soffice candore. Rimane qualcosa di misterioso e inspiegabile nel messaggio della band e ciò non è affatto un male: se il prefisso ‘post’ deve indicare sonorità che vanno oltre la norma e si spingono in una zona grigia in attesa di essere conquistata, nel caso dei Goodbye, Kings calza a pennello.