8.0
- Band: GOODBYE KINGS
- Durata: 00:43:43
- Disponibile dal: 26/05/2022
- Etichetta:
- Overdrive Records
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Musica per animi sensibili, che non si accontentano di tastare appena la superficie delle cose. Ma che preferiscono andare oltre, indagare, approfondire, magari soffrire, pervenendo infine a qualcosa di più autentico e vero di quelle che le semplici apparenze potrebbero suggerire. La proposta dei Goodbye, Kings parte dal post-rock e si inerpica, o si immerge se preferite, in un universo musicale vasto e ricco di commistioni, che hanno in prevalenza la forma del jazz, della delicata musica da camera, di un intimismo pianistico rarefatto e toccante, di pizzicate acustiche flebili e caute. Transitata in una dimensione relativamente dura e veemente con il secondo album “Vento”, la formazione milanese, praticamente un collettivo vista la moltitudine di musicisti che hanno preso parte alle registrazioni di “The Cliché Of Falling Leaves”, è andata verso tutt’altri lidi già a partire dal successivo “A Moon Daguerreotype”. Questo quarto album si distacca ancor di più da facili riferimenti al post-rock, un qualcosa che rimane sullo sfondo, se non altro come indirizzo primigenio.
Il naturale darsi il cambio delle stagioni è al centro del racconto, con i sentimenti e le sensazioni normalmente associati ad autunno, inverno, primavera ed estate a comparire nel fluire della musica, cui giova, nell’affermare il suo carattere, il cospicuo apparato di strumenti a fiato. Trombone, sax, tuba, clarinetto velano di una cupa coltre le prime fasi di “The Cliché Of Falling Leaves”, inserendoci in ambientazioni astratte e tremolanti in una luce che, appunto come accade in autunno, va via via ingrigendosi e indebolendosi. Sono note lunghe e minimali quelli che entrano sottopelle e soggiogano l’attenzione, preparandoci alla purezza del pianoforte e alla sua educata luminosità. Nell’inverno i toni si fanno più duri, il suono si infittisce e prende energia, si allarga e vivacizza, perdendo una porzione di austerità e guadagnando in energia. Già abili in precedenza a far dialogare una miriade di strumenti, dividendosi tra strumentazione rock, jazz e musica da camera, i Goodbye, Kings sembrano approdare ora a un ulteriore livello di maturità. Hanno ridefinito il loro stile, annesso nuovi elementi e manipolato l’intersecarsi di suoni ed emozioni per completare un discorso unico e non fraintendibile con altri gruppi. L’alternanza di movimento moderatamente frenetico e pause avviene con grande calma e attenzione, le transizioni così armoniche e dolci, rasserenanti, fino al comparire di una chitarra acustica che va a riportare il sereno e ad annunciare la primavera alle porte. Lo schiudersi alla vitalità, il rifulgere di un nuovo dinamismo, ci viene presentato con toni distesi e molta grazia, con quel fare gentile e garbato tra i marchi di fabbrica fiammanti della band.
Tesa e vibrante, temporeggiante tra chitarre calde come quelle del folk americano, l’estate dei Goodbye, Kings disvela altre umoralità dei musicisti milanesi, qua alle prese con quella che appare più come una soundtrack che un’epopea post-rock. E di soundtrack si parla davvero per l’intero “The Cliché Of Falling Leaves”, nonostante lo sia al contrario: invece di musicare un lavoro filmico, i ragazzi fanno l’esatto contrario, ossia ‘filmare la musica’. Il disco, già affascinante di suo nella sola parte sonora, diviene un’opera d’arte a tutto tondo se vissuto assieme al film che lo interpreta. Qui alcune ballerine impersonano le stagioni, danzando a ritmo della musica – impressionante la concordanza tra il ballo e il ritmo sonoro, considerata la stratificazione degli strumenti – riempiendo una casa abbandonata della vitalità del ballo. Il ritorno all’autunno si fa portatore di una circolarità anche nella musica, che riprende e cavalca i temi delle tracce precedenti, fino a un tripudio conclusivo davvero inebriante. A dispetto della quantità di elementi messi a fattor comune, nessuno di questi viene soffocato e si ritaglia il suo ruolo nell’offrire un’esperienza speciale, molto sentita e priva di qualsiasi autoindulgenza o furbizia. Non è chiaramente un album per tutti, “The Cliché Of Falling Leaves”, seppure scorra benissimo e non ponga particolari ostacoli, anche se si è poco familiari con tali stilemi. Non ne è in dubbio invece la sua qualità e ci sentiamo di affermare che, tra tutte le pubblicazioni della band, questa possa essere considerata la più riuscita.