
8.0
- Band: GOODBYE KINGS
- Durata: 00:45:04
- Disponibile dal: 02/05/2025
- Etichetta:
- dunk!records
- Overdrive Records
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Ce l’hanno fatta di nuovo, quei malinconici intellettuali dei Goodbye, Kings, a rinnovare, infittire di dettagli e riplasmare la loro musica. Musica per chi ha un cuore e un’anima, musica che non è mai stata per le masse e men che meno potrebbe esserlo adesso.
Il collettivo milanese – definirli gruppo, data la sua vasta conformazione, ci pare riduttivo – non ha mai composto musica per l’oggi, per la frivolezza distratta di queste nostri tempi iperfrenetici. E se quel taglio da fieri, ombrosi intellettuali tardo-ottocenteschi/dei primi ‘900 li ha sempre portati a un corredo sonoro e visuale ben distintivo e persino lontano, fin dal terzo “The Moon’s Daguerrotype”, anche dagli stessi stilemi del post-rock, “Transatlantic // Transiberian” compie un ulteriore passo in avanti. Il tema, facilmente desumibile dal titolo, è quello di chi affrontava questi grandi viaggi in nave, al di là dell’Atlantico, e in treno, a coprire la sterminata superficie della Russia, fino alle coste dell’Oceano Pacifico.
Già fautori di composizioni ampie e prive di strutture fisse, con il precedente “The Clichè Of Falling Leaves” i Goodbye, Kings hanno trovato la loro piena zona di comfort, in quel caso estendendo le loro morbide e poliedriche idee nei tempi di una macrocomposizione in cinque parti. Stavolta le protagoniste sono due lunghe suite, di oltre venti minuti ciascuna, con diversi elementi in comune e alcune significative differenze.
“Transatlantic” – come la seconda traccia, del resto – si svolge attraverso cinque sottocapitoli, pur non essendoci evidenti stacchi al suo interno. Ognuno di essi descrive una porzione del viaggio, da quando si staccano gli ormeggi in partenza fino alla destinazione conclusiva. Riusciamo davvero a percepire queste fasi, attraverso le delicate e complesse tessiture di una musica finemente incorporea, che ha reso flebili i legami col post-rock tradizionale, per abbracciare un’estetica personalissima: lunghi drone di chitarra si avvolgono e si sciolgono attorno al mormorare del trombone, isolate note di pianoforte, tenui andirivieni di violino e violoncello, in combinazioni che non saturano gli spazi, lasciano piuttosto ampio respiro alle melodie e all’immaginazione.
L’avvio è destrutturato, astratto ed enigmatico, per poi prendere una direzione più focalizzata e assumere un tono più lineare e scorrevole.
Al suo cuore, in “Transatlantic” si percepisce come la nave ora stia viaggiando sicura, facendo godere ai passeggeri tutti gli agi della sua esperienza: la musica prende una piega orchestrale, richiamando alcune eleganti fastosità delle opere precedenti, insistendo anche in un incedere brioso, in una fuga destinata infine a planare in un’intorpidita malinconia. L’interagire degli strumenti trascende appunto l’operato di un gruppo rock, per concentrarsi su una dimensione puramente orchestrale, ma distaccata da rigide impostazioni. I Goodbye, Kings utilizzano un ampio corredo strumentale ma sanno essere di un toccante minimalismo, come appunto il finale di “Transatlantic”, con pianoforte e violino che vanno gradatamente a silenziarsi, per lasciare il ruolo di protagonista alla chitarra acustica.
“Transiberian” si presenta subito più diretta, moderatamente energica, ad assecondare una tipologia di viaggio più scattante e meno in balia degli eventi atmosferici. Cambia proprio il tipo di ritmicità, a suggerire il moto del treno negli sconfinati spazi della Russia: il lavoro della batteria porta costante movimento ed enfasi, chitarra e violino si intrecciano ora comunicando energia e dinamismo, senza perdere nulla della loro eleganza. Poco prima della metà la traccia muta pelle, fermandosi in un soliloquio pianistico e quindi riprendendo da coordinate differenti. Il clima si incupisce e compaiono perfino delle percussioni grevi e pesanti, riconnettendo fuggevolmente la formazione a sue lontane frequentazioni post-metal (all’epoca del secondo album “Vento”).
È questa una progressione molto riuscita, uno squarcio in un universo sonoro più severo che sembrava essere uscito dagli interessi dei musicisti milanesi. La conclusione è affidata a un altro morbido rincorrersi di trombone e strumenti ad arco, con il sottofondo di un gentile pianoforte, lasciando così erompere fieramente tutto lo struggimento accumulato fino a quel momento.
“Transatlantic // Transiberian” è opera ambiziosa e di grande ricerca, come da abitudine dei Goodbye, Kings. A nostro avviso riesce anche ad elevare ulteriormente le qualità di questo estroso collettivo, che fa della sobria sperimentazione e del racconto in note i cardini del proprio agire.
Un album inclassificabile e personalissimo, che grazie anche all’accordo con l’etichetta belga dunk!records, label specializzata proprio in tutto ciò che orbita attorno al post-rock, speriamo abbia l’esposizione che merita.