9.0
- Band: GORGUTS
- Durata: 01:02:49
- Disponibile dal: 30/08/2013
- Etichetta:
- Season Of Mist
- Distributore: Audioglobe
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Il ritorno dei Gorguts è il momento topico degli ultimi anni di death metal. Dopo dodici lunghissimi anni di assenza, tornano fra noi i migliori dispensatori di allucinazioni che questa corrente musicale abbia mai conosciuto. È come riabbracciare un sovrano dato ormai per morto: si è immediatamente pronti a lasciare alle spalle ogni tipo di incertezza e a seguire il leader senza indugi, con cieca euforia. Siamo nel 2013, ma potrebbe tranquillamente essere ancora il 2001: i Gorguts continuano a fare la gioia delle tante teste matte cresciute a pane, death metal e visionarietà. Luc Lemay da tempo ama i forti contrasti, alternando nella sua produzione (perlomeno in quella più “recente”) mood opposti: come la vita, l’esistenza sono fatte di giorni e notti, caldo e freddo, buono e cattivo, sacro e profano, così il suo iter ispirativo produce brani densi di rabbia e stasi, furore ed autocontrollo. Il chitarrista/cantante canadese mette a punto con la nuova, sperimentale e sulfurea pelle dei Gorguts un ennesimo sorprendente colpo di coda, ricolmo di sonorità inusitate e sapida violenza espressiva. “Colored Sands” segna l’esordio ufficiale della nuova lineup della band, sorta di “all star team” del metallo più deviato e cerebrale in circolazione: Colin Marston (Behold The Arctopus, Dysrhythmia, Krallice) al basso, John Longstreth (Origin) alla batteria, Kevin Hufnagel (Dysrhythmia, Vaura) alla seconda chitarra; tre spalle clamorose per mettere Lemay nelle migliori condizioni di offrirci un nuovo esempio di quell’arte compositiva che il Nostro ha studiato, affinato e sublimato attraverso gli anni. Se avete amato gli abbandoni, la claustrofobia e i visionari intrecci di “Obscura” e “From Wisdom To Hate”, non potrete non incorniciare le allucinanti trame di “Colored Sands” e fare degli altarini devoti al culto di una delle death metal band più personali e avanguardistiche di sempre. In caso contrario, lasciate perdere e ritirate fuori la vostra copia di “Considered Dead” o “The Erosion Of Sanity”, se siete ostinatamente solo dei duri e puri. Vi perderete però – e non avrete attenuanti di sorta – un capitolo cardine della discografia del gruppo e degli ultimi anni di death metal. Con questa nuova opera, i Nostri tornano a snocciolare riff e virtuosismi incredibili con sofferta, magnetica freddezza. Hanno chiaramente in testa i due precedenti full-length, le loro visioni deliranti e tutto quel corollario di elementi acidi e progressivi, tuttavia, da gruppo emerso negli anni Novanta, tornano a ricordarsi quali siano i fattori chiave per scrivere una buona canzone, non venendo mai meno a concetti come concretezza e (relativa) orecchiabilità. Che dire di fronte ad un “compromesso” del genere? Il cuore e lo spirito tremano, le capacità critiche si perdono in una spessa nebbia carica di sinistri presagi. Davanti a pezzi come “Le Toit Du Monde” o “Forgotten Arrows” non si può far altro che rimanere a bocca aperta e prostrarsi. Chi ritiene giovani realtà come gli Ulcerate il cosidetto “top” dell’odierna scena techno-death metal, farà fatica a non decretare la superiorità dei veri maestri e a resistere all’ora di impagabili progressioni lisergiche garantite da “Colored Sands”. Basterà forse la sola “Absconders”: rarefazione sonora tagliata con l’acido, perdizione, illusioni dettate da ricordi che non vogliono morire e riaffiorano nella coscienza. Questi sono i Gorguts che, come sempre, giocano di sfumature, di pieni e vuoti cromatici, di percussioni umorali, con il growling desolato di Lemay a far letteralmente venire i brividi. A differenza di tanti giovani rampolli, i Gorguts sanno che la tecnica deve essere sempre messa al servizio del brano; sanno che ad ogni inalazione deve seguire un’esalazione. Stare perennemente in apnea non porta giovamento alcuno. Lezioni imparate in oltre due decenni di carriera costellati di pubblicazioni mirate e sempre curate nei minimi dettagli. “Colored Sands” non offre punti deboli, nè lascia campo a dubbi: è il primo disco death metal da tanto tempo a questa parte che riporta a galla idee come novità e personalità. È la testimonianza definitiva della classe di Luc Lemay, la sublimazione del concetto di eleganza e di avanguardia applicati al death metal.