7.5
- Band: GOROD
- Durata: 00:44:03
- Disponibile dal: 19/10/2018
- Etichetta:
- Overpowered Records
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I progressive death metaller francesi Gorod sono una band che suscita dibattito, nel bene o nel male. Da un lato abbiano chi ne incensa la genialità, ne evidenzia la caratura tecnica e lo spirito liberamente progressive e sostiene che siano tra le band più sottovalutate in circolazione. Dall’altra parte abbiamo invece chi ne critica il percorso di ammorbidimento del suono, sostenendo che si siano via via snaturati e che il loro songwriting si sia impoverito col passare del tempo. Il fatto che comunque ci sia dibattito su questo gruppo significa che, in ogni caso, qualcosa di buono il combo transalpino lo abbia tirato fuori dal cilindro e, in effetti, dobbiamo riconoscere che i Gorod siano una di quelle band che l’ascolto lo merita sempre, a prescindere dalle valutazioni finali e dai gusti soggettivi di ciascuno. Perché l’imprevedibilità del loro sound è un dato di fatto, così come la loro continua ricerca di sperimentazione nel tentativo di trovare il sound definitivo. “Æthra” giunge a tre anni da “A Maze Of Recycled Creeds”, e riprende il discorso esattamente da dove era stato interrotto. Ritroviamo dei Gorod decisamente più ispirati, più dinamici e determinati. I brani che compongono questo platter sono un connubio tra melodia e velocità, intersecate chirurgicamente, questa volta, con bordate di groove egregiamente riuscite. Complice una produzione certamente più rotonda e definita, e coerente con quanto suonato, i brani risultano più dinamici e meno spezzettati. Anche da un punto di vista prettamente tecnico, assistiamo ad un songwriting meno incentrato su queste cascate di note e questi spiazzanti cambi di ritmo, ma ad un qualcosa di più legato e, se vogliamo, semplice. Certamente più lineare e, ci sentiamo di dire, coerente. La traccia d’apertura e la title track sono certamente gli episodi più destabilizzanti nel loro essere così sperimentali, in particolare “Æthra” (e anche il brano conclusivo “A Light Unseen”, a ben vedere) è l’episodio più melodico: ascoltandolo attentamente, potrete sentire echi non troppo lontani a Gojira e Opeth. A parere di chi scrive uno dei pezzi più riusciti del lotto è “Hina”, sia nella sua parte efferata che nelle efficaci aperture melodiche, essendo forse il brano più squisitamente progressive. Se tutto il disco si assestasse su tali livelli di ispirazione potremmo tranquillamente parlare di un piccolo capolavoro nel suo genere, ma anche così ci ritroviamo con un lavoro che riesce a rilasciare vibrazioni positive.