7.5
- Band: GOST
- Durata: 00:47:24
- Disponibile dal: 08/03/2024
- Etichetta:
- Metal Blade Records
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Finita la fase bulimica in cui le uscite darksynth (o synthwave, retrowave e chi più ne ha più ne metta…) si susseguivano come le piogge di marzo, sembra essere arrivato il momento di fare i bilanci e vedere chi, in questo nuovo trend, resta a tirare le fila e pubblicare qualcosa di realmente interessante.
Il progetto di James Lollar rientra a pieno titolo tra i grandi nomi del genere e bastano pochi minuti di ascolto per capire che anche “Prophecy” coglie nel segno. Senza perdere di vista quanto già proposto nei dischi precedenti, qui la componente elettronica si fa ancora più intensa, con l’esplosione di elementi aggrotech, drum and bass e persino techno, che pescano ad ampio spettro dalla corrente tedesca nel primo caso e dalle derive più commerciali nell’ultimo – “Obituary” sfiora in scioltezza territori italo-disco – senza mai perdere di vista l’antico amore per il metal nell’uso abrasivo della voce, in brevi sample che rimandano alla sua esperienza in ambito black e in certe ritmiche di chiara derivazione industrial.
Alla fine, Gost si ama o si odia; rispetto ai colleghi Carpenter Brut e Perturbator, con cui possiamo dire che condivide il podio di popolarità in questa nicchia, è sicuramente quello dal sound più metal (“Decadent Decay”), ma anche con più derive amalgamate in maniera accattivante; non a caso, in certi passaggi l’ascolto richiede maggior attenzione, dato il continuo fluttuare tra sale giochi degli anni Ottanta (“Deceiver” declina il lato più legato al retrogaming con un bel crescendo danzereccio), film horror di serie C, atmosfere sulfuree (“Widow Song”, che però gioca anche sul confine della new wave), synthpop e cassa dritta.
Come in passato, ritornano smaccati cenni ai suoi beneamati Depeche Mode: i campionamenti della title-track pescano a piene mani da “Everything Counts”, e ricompare poi serpeggiante un certo gusto che ricorda anche i Ministry più sintetici, a metà strada tra gli echi ottantiani di “Twitch” e i tappeti assordanti di “Filth Pig” (“Digital Death”), in particolare quando le linee vocali, qui molto più sporadiche e spesso ovattate, vanno nettamente in secondo piano rispetto all’assalto sonoro.
In generale, “Prophecy” è un disco costruito con intelligenza, sia nelle dinamiche all’interno dei brani, quanto nella sequenza degli stessi; si ha peraltro la netta sensazione di un crescendo, che non relega brani ‘minori’ nella seconda parte dell’album, anzi: “Golgotha” è essenziale e marziale, mentre la conclusiva “Leviathan” sintetizza black metal, Chemichal Brothers e John Carpenter, riuscendo a trasmettere angoscia e adrenalina a palate.
Se insomma siete tra i (numerosi) metallari che non disdegnano il flirt con l’elettronica in dosi massicce, Gost si conferma un progetto che non si può trascurare.