7.0
- Band: GOST
- Durata: 00:38:55
- Disponibile dal: 04/10/2019
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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James Lollar alias GosT è ormai ufficialmente il terzo vertice di quella corrente synthwave tanto amata dai metallari, assieme agli amici Perturbator e Carpenter Brut. Come il primo, anche James arriva da esperienze musicali in ambito metal, un altro dei segreti assieme al sound retrò per cui questo genere ha ormai conquistato tanti fan di ben altre sonorità. Giunto al quinto album, e dopo aver toccato nei precedenti “Non Paradisi” e “Possessor” gli apici della sua dimensione più puramente elettronica, qui GosT riduce un po’ l’approccio da colonna sonora anni Ottanta, strizzando molto più l’occhio alle sue più grandi passioni, ossia l’electropop e il black metal: come leggerete in una prossima intervista, le sue due band preferite sono infatti i Darkthrone ei Depeche Mode, e per quanto improbabile una sintesi pare possibile. I brani di “Valediction” riescono spesso a unire queste due dimensioni con efficacia, ed è curioso perché le sporadiche esplosioni extreme metal del passato diventano qui ancora più violente. Ci pensano solitamente i suoni campionati delle tastiere, con un suono furbamente in equilibrio tra dungeon synth e dark dance a fare da collante tra queste tracce bivalenti; come nel caso della doppietta iniziale o nella schizofrenica “Timeless Turmoil”, dove praticamente il pornogrind incontra i Daft Punk. Ci sono ovviamente momenti più canonici, aggrappati al versante più edonistico della sua musica, e per questo decisamente accattivanti (“Dreadfully Pious”, “Bloody Roses”); anche se al di là del sorriso che strappano e dell’ottima qualità compositiva – specie alla luce della giovane età di questo musicista – fanno riflettere su come certe sonorità, ritenute aberranti al massimo vent’anni fa, siano state sdoganate così serenamente anche nel mondo del metal. È già più scontato e innocuo in termini di appeal, se vogliamo, il sound di brani come “She Lives In Red Light (Devine)” o “Ligature Marks”: puro gothic pop anni Ottanta, con giusto momenti in cui il cantato si fa più aspro e acido, simile a certe linee vocali più sgraziate di Marilyn Manson. Ed era perfettamente in linea con ciò il video di lancio del brano: un bianco e nero con spazi industriali e cimiteri d’ordinanza, ove quando GosT compare in abiti civili, ricorda Al Jourgensen ai tempi di “Over The Shoulder”: non a caso, il primo rappresentante di un filo rosso tra pop sintetico e violenza senza compromessi. C’è poi infine una quarta anima che attraversa questo disco, ed è quella che interessa gli ultimi due brani; qui sono la goa e l’hardcore a prendere il sopravvento, e la sensazione che il dj texano volesse proprio condurci in un viaggio sfaccettato con un crescendo inatteso è forte. Dj, peraltro, è una definizione ormai stretta per GosT, visto che un fedele bassista lo accompagna ormai sia in studio che nei live, e stando alle sue dichiarazioni presto anche un batterista potrebbe entrare in formazione in pianta. Questa ricerca di una sintesi tra musica suonata e campionata, così come tra le diverse anime della sua formazione musicale, è evidentemente ancora in corso, e qualche momento poco amalgamato si nota; al tempo stesso “Valediction” è però un ascolto interessante e spesso esaltante nella maniera più primordiale possibile. E che mostra sicuramente una nuova via rispetto allo stallo tra le colonne sonore di John Carpenter e dei film per ragazzi che il genere aveva ormai raggiunto.