6.0
- Band: GOTLAND
- Durata: 01:13:48
- Disponibile dal: 15/09/2023
- Etichetta:
- Earth And Sky Productions
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Non sono dei novellini i Gotland, sebbene questo sia appena il secondo full-length della loro carriera: la band si forma infatti nell’ormai lontano 2007 e si orienta ad un folk black metal che musicalmente guarda prepotentemente alla Scandinavia, mentre sotto il profilo delle tematiche i ragazzi piemontesi cercano quasi da subito un approccio più personale e legato alla storia antica del nostro Paese.
Il loro ‘black metal italico’ – che dimostra similitudini con Draugr e Furor Gallico – trova espressione nel debutto “Gloria Et Morte”, dopo il quale i musicisti torinesi rallentano di molto l’attività – almeno in studio – limitandosi a rilasciare alcuni singoli.
Rispetto al vecchio materiale i Gotland, che nel frattempo hanno avuto un avvicendamento dietro al microfono e alla seconda chitarra, dimostrano un approccio diverso: messe da parte (in buona misura ma non del tutto, vedi ad esempio “Visurgis”) le influenze à la Finntroll, i piemontesi sembrano inoltrarsi lungo sentieri di un death metal piuttosto tecnico e moderno, che, miscelato al pagan black metal degli esordi, funge da architrave sonoro per questo lavoro, nel quale la componente sinfonica si dimostra molto importante. Le orchestrazioni sono infatti pompose e magniloquenti e fanno da contrappunto alla violenza blackened death, con riferimenti lampanti ad Ex Deo, Septicflesh e Fleshgod Apocalypse, ma anche a agli ultimi Cradle Of Filth, Behemoth e Dimmu Borgir.
I due singoli apripista, “Roman And Cheruscan” – il brano introduttivo – e “Visurgis” forniscono già una buona panoramica sullo stile del disco: l’aspetto che ci sembra più convincente è l’uso di tastiere e orchestrazioni, che hanno un ruolo fondamentale nel creare atmosfera, soprattutto perché la furia black-death che anima l’intero lavoro ha un piglio molto moderno e ben poco ancestrale. Tra i tanti brani che compongono l’album ci sentiamo di segnalare la title-track, che ne riassume la vena epica – ancorché sempre molto violenta – e “Slaughtered Centurions”, probabilmente il pezzo che preferiamo, grazie ad un andamento più cadenzato e ‘groovy’, unito alle apprezzabili linee vocali pulite, in un sentore quasi avant-garde.
Tuttavia, sebbene la band si dimostri enormemente cresciuta a livello tecnico e di songwriting rispetto agli esordi, e suoni e missaggio si rivelino adeguati ad una proposta strutturalmente tanto complessa (cosa non scontata), ha purtroppo fatto il proverbiale passo più lungo della gamba: il disco sfiora l’ora e un quarto di durata, un minutaggio impossibile da sostenere a meno che non si sia i Virgin Steele e l’album sia “Invictus”.
Non citiamo a caso il capolavoro di David DeFeis (ed ex soci) in quanto “Rise” è anch’esso un concept album dal carattere epico, strutturato in cinque atti intervallati da altrettanti interludi. Il risultato però è – quasi inevitabilmente – ridondante e prolisso, le buone idee e i passaggi ben riusciti vengono annacquati in un mare di materiale che finisce per assomigliarsi tutto. Anche l’uso dei trigger andrebbe a nostro parere moderato, ma qui si entra in un ambito legato alle caratteristiche del genere, e la batteria triggerata è sicuramente tra gli stilemi cardine dell’extreme metal moderno.
Apprezziamo lo sforzo di raccontare una pagina non troppo ricordata della Storia, e il violento incontro-scontro tra due civiltà e popolazioni nemiche quali Romani e Cherusci (Germani) alternando parti vocali in italiano e inglese, oltre che registri vocali differenti – dal growl allo scream, al cantato pulito – grazie anche all’aiuto di ospiti quali Davide Cicalese dei Furor Gallico e Manuel Visconti degli Atavicus, ma c’è ancora molto su cui lavorare, in termini di personalità e capacità di concentrare risorse ed idee per mantenere a fuoco le composizioni e non perdere l’attenzione dell’ascoltatore.