7.0
- Band: GRÁ
- Durata: 00:35:40
- Disponibile dal: 13/01/2023
- Etichetta:
- Avantgarde Music
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All’alba del quarto full-length, la band svedese è ormai diventata una realtà consolidata, almeno in ambito underground. Ecco quindi che, dimostrando coraggio e vera attitudine, cambia le carte in tavola in maniera decisa.
Addio alle tastiere e alle atmosfere insieme ridondanti e plumbee, quasi intimiste, che caratterizzavano i primi dischi, in particolare il precedente e potente “Väsen”, a favore di un approccio decisamente più diretto, ma non per questo meno meditato o coinvolgente. L’avvio è quadrato e sparato in faccia, nonostante la band sappia sempre tenere un ritmo cadenzato, in grado di non perdersi nella pura mazzata ad effetto; trovando poi una formula personale, tra riff d’impatto e ritmiche che tutto sommato sono spesso più classic metal che black, se non addirittura rock in senso lato (“Ett Avskedsbrev”, per esempio); il tutto funzionale ad offrire brani accattivanti, da imprimere fin dal primo ascolto nella testa (“Torn Asunder”). Come sempre è molto intrigante e incisiva la voce di Heljarmadr: roca, sporca, arriva nei momenti più cadenzati a farci pensare a un Bill Steer in salsa black; Heljarmadr che, per inciso, per la prima volta non cura la produzione del disco, e nel complesso si sente una maggior pulizia – se poi sia un pregio o un difetto tout court lasciamo a voi il giudizio. Detto che personalmente apprezziamo entrambe le ‘anime’ della band sentite fino ad oggi. Certo, si nota molto il sound cristallino nella cover di “Chariots Of Fire”, peraltro l’unico brano dove, per fedeltà all’intro originale, tornano in vista le tastiere, ma ci rendiamo conto che qualunque confronto con la creatura di Quorthon risulti impari, ed è comunque un’ottima restituzione, per quanto meno marcia dell’originale. Resta sul finale spazio per brani più meditabondi, oscuri e sperimentali; “Brännmärkt” è una lunga discesa agli inferni dai ritmi lenti e sulfurei, mentre la conclusiva “Jaws Of The Underworld” aggiorna in chiave quasi jazzistica gli esperimenti electro/black di un quarto di secolo fa (pensiamo in particolare a certe sortite dei Mayhem), e per quanto straniante è una deviazione che funziona.
“Lycaon” è insomma un disco molto diverso da quanto vi poteste aspettare, in termini di sound, se già siete fan della band di Stoccolma, e tuttavia non ha particolari difetti, né si allontana dall’alveo del black metal in maniera troppo stravolgente; ecco, questa continuità nella discontinuità è forse la cosa che ci è piaciuta di più, e che riteniamo faccia meritare di nuovo ai Grà più di un semplice ascolto distratto.