8.0
- Band: GRAND CADAVER
- Durata: 00:34:36
- Disponibile dal: 25/08/2023
- Etichetta:
- Majestic Mountain Records
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Il saper scrivere canzoni è un’arte che non tutti possiedono veramente. Soprattutto negli ultimi tempi, capita a volte di imbattersi in band che optano più per “l’insalata di riff” che per una costruzione effettivamente in grado di assumere un senso compiuto e di gettare un ponte verso l’ascoltatore.
Una realtà come i Grand Cadaver è composta da cosiddetti veterani di un panorama celebrato come quello (death) metal svedese, gente cresciuta con i vecchi classici, album colmi di brani esemplari, di singoli che ancora oggi vengono riconosciuti nel giro di pochissimi secondi. Non stupisce quindi che l’approccio al songwriting di questa formazione nata durante i vari lockdown imposti dall’emergenza sanitaria legata al Covid sia sempre stato diretto, vecchia scuola, quasi sempre legato alla forma canzone, memore appunto dello spirito e delle formule di tante antiche pietre miliari.
nizialmente, il sound era incentrato su una sorta di death’n’roll molto lineare, a cavallo tra Dismember e gli Entombed di “Wolverine Blues” e “Morning Star”, con un evidente tocco slayeriano in certi passaggi; già sul primo full-length erano tuttavia rintracciabili delle parentesi più torbide e atmosferiche, parzialmente slegate dall’impianto barbaro e senza fronzoli del resto del repertorio. Con il nuovo “Deities Of Deathlike Sleep”, sembra invece che gli svedesi abbiano cercato semplicemente di mettere insieme canzoni che potessero vivere di luce propria, certo accumunate da una produzione che ancora una volta propende per suoni caldi e ruvidi, ma non sempre arroccate in un mondo di classicismo death metal.
La vita che riempie i brani dei Grand Cadaver non è materiale di seconda mano, bensì lo sguardo diretto di chi da un lato ha da sempre a cuore la tradizione metal (sentire certe backing vocals in odore di King Diamond) e dall’altro non si è mai tirato indietro dall’ascoltare altri suoni.
Molti episodi di questo nuovo album assumono quindi i connotati di una sorta di veicolo atemporale che procede per la propria strada, adottando una sua cifra stilistica in una musica che mostra indubbie basi di diretta derivazione nineties così come puntuali striature melodiche che introducono un mood decadente e temi che dettano una malinconia avvolgente, un riparo confortevole in cui c’è tutto il necessario per affrontare tempi cupi e avvilenti.
Per comprendere la rinnovata formula della band – che comunque anche in questa sede si concede almeno un paio di episodi di pura ignoranza death metal/death’n’roll – basta forse ripassare il curriculum dei due chitarristi della formazione: da un lato abbiamo Stefan Lagergren, che, fra le altre cose, è stato fondatore dei famigerati Treblinka e quindi anche chitarrista su “Sumerian Cry” dei Tiamat; dall’altro c’è invece Alex Stjernfeldt, il quale, tra vari progetti death metal, è da tempo anche a capo di realtà sludge e post-metal, come ad esempio i The Moth Gatherer, la cui proposta è spesso accostata a quella dei Cult Of Luna. Da questo genere di influenze nascono dunque alcuni brani che nel loro accattivante svolgimento possiedono sia l’impatto e l’urgenza della vecchia scuola, sia lo spleen e le suggestioni di mondi sonori più fumosi, i quali riescono a ricavarsi un loro spazio e una propria dimensione meditativa, quasi crepuscolare, anche all’interno di certe tracce particolarmente aggressive.
Non vanno infine sottovalutati il carisma e il tocco personale di altri interpreti di prim’ordine come Mikael Stanne (Dark Tranquillity), Christian Jansson (Dark Tranquillity, Pagandom) e Daniel Liljekvist (Vorder, ex Katatonia) – tutta gente che in carriera ha più volte dato dimostrazione di sapere rimodellare certi linguaggi con esiti insoliti.
Il quintetto si rende insomma protagonista di una una scrittura lineare nello sviluppo – con strutture ordinate e subito digeribili – ma pulsante di elementi e di verità, al punto da toccare sempre nel profondo, svelando nei momenti chiave una personalità inaspettata, a maggior ragione per quello che doveva essere un progetto fatto per divertimento. Quel che si dice un ritorno notevole.