8.5
- Band: GRAND MAGUS
- Durata: 00:34:45
- Disponibile dal: 05/13/2016
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Cancellate per sempre i Grand Magus dall’elenco delle band doom. Dimenticate che JB sia stato il cantante degli Spiritual Beggars (forse dei migliori Spiritual Beggars). Girate a destra fino a ‘fine corsa’ la manopola del volume, fate partire “Varangian” e lasciatevi trascinare dal suo riffing a metà tra i Maiden e i Bathory, sollevate il vostro martello e ringraziate gli dei di Asgard per “Sword Songs”. La trasformazione che la band svedese ha iniziato con “Iron Will” trova ora finalmente il suo giusto compimento; i Grand Magus hanno attraversato una mutazione musicale che ha alienato ai tre i fan della prima ora e li ha lanciati nel calderone del viking metal, affollato di band diversissime e già affermate, ma ne è valsa la pena. Quando i tre cantano ‘viking metal (!)’ in “Forged In Iron, Crowned In Steel” non potete che lanciarvi nel sing-along ed abbandonarvi a questo piccolo gioiello di heavy metal, epic, e tutte le sfaccettature più classiche, pesanti e nordiche che vi vengono in mente. “Sword Songs” poteva essere un disco pessimo, poteva rasentare il ridicolo ma la passione e la dedizione, il sentire chiaramente che i Grand Magus credono in quello che cantano, lo ha reso un disco di quelli che vengono una volta nella vita. Si prosegue con “Born For Battle”, che ci conferma la capacità dei tre di Stoccolma di creare riff granitici ed evocativi, insieme a chorus epici e coinvolgenti. “Master Of The Land” ci trasporta di forza in un mix tra i Bathory di “Blood Fire Death” e i Manowar (riferimento che, se avessimo qualche dubbio, JB rimarca scandendo nel refrain “into glory ride”). “Last One To Fall” è retta da un riffing che sembra scritto a due mani da Johnny Hedlund e Kai Hansen, tanto riesce ad aggiungere pesantezza ad una melodia decisamente teutonica, mentre “Frost And Fire” ritorna sulle atmosfere che hanno aperto il disco. La band si concede con “Hugr” una pausa strumentale, in cui il sovrapporsi di due arpeggi cupi e vagamente folkeggianti sembra voler placare la colata di metallo fuso che ci ha sommerso fino a qua e che crea la giusta attesa ed il giusto pathos per la conclusiva “Every Day There’s A Battle To Fight”. La traccia conclusiva di questo disco è quella in cui è più evidente il forte tributo ai Bathory dell’era viking, il pezzo in cui i Grand Magus riversano l’epicità più struggente: un anthem costruito su un midtempo cadenzato ed immoto, in cui la voce si esprime con naturalezza, senza sforzi, a voler sottolineare ogni singola parola. Chi scrive aveva perso ogni speranza di (ri)sentire un disco di questa caratura dai Grand Magus, sopratutto dopo che gli ottimi inizi avevano lasciato il posto a dischi sempre meno convincenti: anche per questo “Sword Songs” colpisce inaspettato come un temporale estivo. Questo disco dimostra quanto l’heavy metal, quello più classico, sia un genere sempre pronto a rinascere, capace di adattarsi alle diverse personalità degli artisti che lo interpretano ed in grado di trasmettere emozioni. I Grand Magus sono in tre, senza artifici e senza sovrastrutture: tre grossi metallari svedesi che prendono avanguardia e sperimentazione a calci.