7.5
- Band: GRAVA
- Durata: 00:33:11
- Disponibile dal: 27/09/2024
- Etichetta:
- Aesthetic Death
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La prospettiva soggettiva con cui ci si confronta con la musica cambia attraverso gli anni: quando, molto spesso in gioventù, si arriva a scoprire un genere musicale, si è pieni di entusiasmo e di voglia eclettica di scoprire per poi, spesso in modo naturale, arrivare a trovare una quadra e stabilizzarsi entro certi confini.
I generi musicali, allo stesso modo, nascono, si evolvono, si ibridano e (qualche volta) muoiono e, se fosse possibile avere un occhio esterno ai due fenomeni e alle loro interazioni, secondo noi si potrebbero avere delle sorprese: molte frasi fatte come “non ci sono più i dischi di una volta” oppure il classico “il rock è morto” potrebbero essere sconfessate in pochi minuti, perché semplicemente molto spesso è la prospettiva di chi ascolta a voler, in qualche modo, fermarsi in determinati periodi di tempo e in delineati generi.
E’ comunque vero, però, che la musica estrema di cui ci occupiamo qui su Metalitalia.com comincia ad avere la sua età e, nonostante le novità, i crossover e qualche invenzione genuina, le coordinate dei generi sono oggettivamente ben delineate ed è sempre più difficile rimanere ‘stupiti’ dalle nuove formazioni e dai nuovi dischi.
C’è una proliferazione di gruppi e uscite – questo sì – ma il numero non corrisponde a nuovi generi o sottogeneri: pian piano si sta stagliando perciò, a nostro avviso, un modello di band che va oltre al concetto di ‘derivativo’ come può esserlo quando esplode uno stile nuovo e tutti si accodano.
Queste invece sono formazioni che amano determinati suoni, che sono cresciute con essi e che sono pienamente soddisfatte nel riproporli ‘punto e basta’, come si suol dire; non ci sentiamo per questo di farne loro una colpa o rubricarle tutte come inutili.
Tra l’altro, alcune di queste lo fanno con tale convinzione, con tale onestà intellettuale che i dischi poi risultano davvero di alto livello: è esattamente il caso dei Grava e di “The Great White Nothing”.
Non c’è davvero nulla in questo lotto di canzoni che non abbiamo già sentito nelle esperienze di Burst, i dimenticatissimi Buried Inside, Neurosis e in versioni asciugatissime di Amenra e The Ocean: siamo davanti quindi ad una mezz’ora abbondante di post-hardcore e sludge ritmato, secco e violento. Eppure, “The Great White Nothing” è un album che invita ad essere riascoltato tante volte, nonostante non proponga nulla di rivoluzionario, anzi.
Geograficamente collocabili tra le Faer Oer e la Danimarca, i tre utilizzano una forma-canzone di poco più di tre minuti, in modo da non esagerare con i trip ossessivi e dilatati che capitano spesso con le band sludge, insistendo invece sui tempi medi di esecuzione (“Erebus”, “Decimate”, Bayonet”) e concedendosi, qua e là, momenti più riflessivi (“The Fall”, “Ceasefire” e la conclusione di “Hinterlands”, dove la voce diventa più death metal).
Tutto il resto sono bordate hardcore, ben suonate, finemente arrangiate e perfettamente prodotte: “The Great White Nothing” risulta quindi un album in grado di mantenere un equilibrio e una trasparenza non così comuni; i Grava non cercano di rifilarci chissà quale ricerca musicale, ma hanno deciso di fare bene una cosa e dimostrano di saperci fare davvero.
Se aggiungiamo che il concept dell’album – incentrato sulle esperienze di morte, dal punto di vista dei protagonisti di grandi disastri e incidenti visti nel corso del tempo – è azzeccatissimo, non c’è molto altro da dire se non che il secondo disco dei Grava è davvero da sentire.
Chi scrive ormai ha la consapevolezza che sarà difficile ritrovare le sensazioni di stupore della gioventù e quindi cerca di circondarsi di dischi magari non stupefacenti ma genuini: qua ne abbiamo davvero uno e secondo noi dovreste approfittarne per segnarvi il nome; se poi dal vivo si confermeranno efficaci, potremmo avere altri margini di crescita.