8.5
- Band: GRAVE CIRCLES
- Durata: 00:42:48
- Disponibile dal: 08/05/2020
- Etichetta:
- Les Acteurs De L'Ombre Productions
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A posteriori, è facile vedere nel 2019 un’annata straordinaria per quanto concerne le sonorità black metal. Sinmara, Deathspell Omega, Misþyrming, Mgla, Mortem, Mayhem… e siamo solo alla punta dell’iceberg. Sotto quel bastione di ghiaccio e misantropia, nascoste dai torbidi flutti del circuito underground, ecco infatti materializzarsi una serie di release non meno degne di lodi e attenzioni, la cui unica debolezza rispetto ai vari “Algleymi” e “Daemon” può essere ricondotta alla mancanza di battage pubblicitario o dell’hype istantaneo che accompagna le mosse di certi act.
È tenendo a mente questa riflessione che va visto e approcciato l’esordio sulla lunga distanza dei Grave Circles, uscito senza grandi squilli di tromba lo scorso dicembre e oggi – grazie all’interesse della piccola ma sempre lungimirante Les Acteurs de l’Ombre – distribuito a tutti gli effetti insieme al suo carico di angoscia e talento sopra le righe. Perchè qui non ci troviamo semplicemente al cospetto di una sorpresa inaspettata, del cosiddetto fulmine a ciel sereno, ma di una delle migliori rappresentazioni artistiche elargite dalla nera fiamma nell’ultimo lustro; un flusso umorale che, parimenti al soggetto ritratto in copertina, si insinua sottopelle in un’escalation dai toni lividi e crudeli, plaudendo sia il concetto di aggressività (e non potrebbe essere altrimenti) che quello di riflessione e ricerca sonora.
Black metal moderno nell’accezione migliore del termine, per nulla interessato a ripercorrere i sentieri scandinavi di metà anni Novanta e con lo sguardo rivolto febbrilmente all’Inferno dei giorni nostri, simile a tanti ma – di fatto – uguale a nessun altro. Che il gruppo ucraino abbia divorato opere come “Rom 5:12”, “Ominous Doctrines of the Perpetual Mystical Macrocosm” ed “Exercises in Futility” è fuori discussione, tuttavia ciò che ne è scaturito in seguito, in parte già accennato sull’EP “Tome I” del 2017, trascende la mera somma delle parti. Abbiamo la ferocia di Morgan e Mortuus, l’approccio alla scrittura ingegnoso della band colombiana e il senso di mestizia, declinato in una vena melodica molto pronunciata, dei trendsetter di Cracovia, ma senza che le suddette influenze abbiano effettivamente la meglio sulla visione e sulla personalità degli interpreti. Il tocco è fresco e sicurissimo, la fluidità dei cambi di tempo e delle transizioni lascia sovente di stucco (basti sentire “Predominance”, capace di mutare forma più volte sull’onda di un’eco solenne e drammatica), mentre la cura riposta nello sviluppo e nell’affinamento della forma canzone spazza via tutti i dubbi sull’espressività di Baal e compagni, i quali si concedono anche il lusso di ricorrere a voci pulite, strumenti a fiato e digressioni liturgiche per esprimere al meglio il loro martirio.
Circa tre quarti d’ora di materiale in cui ogni elemento trova perfettamente il suo scopo e la sua collocazione, quasi si trattasse di un mosaico eretico, frutto di una creatività impetuosa che cerca continuamente nuovi spunti e suggestioni nelle tenebre. In definitiva, un esordio che ha già tutte le caratteristiche dell’opera matura e compiuta, destinato a folgorare chiunque si ritenga amante del metal estremo più rifinito, profondo e dinamico.