8.5
- Band: GRAVE DIGGER
- Durata: 00:56:58
- Disponibile dal: 18/05/1998
- Etichetta:
- GUN Records
Spotify:
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È il 1998, siamo in piena epoca dell’esplosione del fenomeno heavy power metal tedesco (o forse è già iniziata la sua parabola discendente). I Blind Guardian danno alle stampe “Nightfall in Middle-Earth”, gli Helloween hanno appena rilasciato “Better Than Raw”, i Gamma Ray sono all’apice del loro successo dopo quel capolavoro di “Somewhere Out In Space” e i Running Wild sono già entrati nei nostri cuori salpando sulle ruvide note dell’ultimo “The Rivalry”. Ci sarebbero tantissime altre band protagoniste di quello che è stato uno dei periodi più esaltanti di rinascita dell’heavy metal e dei suoi sottogeneri dopo i primi anni Novanta, ma una in particolare è stata capace di comporre una gemma equivalente ad un diamante grezzo all’interno del filone. I Grave Digger, reduci dal successo di “Tunes Of War”, uscito due anni prima, continuano quella che sarà poi ricordata come la ‘Middle Ages Trilogy’, e quale tematica può essere più medievale dei Templari?
Forti di una line-up ormai stabile – nonostante i primi attriti tra Chris Boltendahl e Uwe Lulis – i nostri danno dunque alle stampe “Knights of the Cross”. Con una delle tracce d’apertura più riuscite della storia dell’heavy power tedesco, diventata subito uno dei cavalli di battaglia della band e un inno per chiunque ascolti questi generi, la formazione tedesca mette subito in chiaro quali siano le carte in tavola. Il resto del disco è una conferma di quanto scritto poc’anzi, risultando come sempre rocciosissimo, a base di violenza e leggende medievali. «Dio lo vuole!» è l’infame grido sotto il quale soldati provenienti da tutta Europa si riunirono per massacrare, stuprare e bruciare, con l’intenzione di liberare Gerusalemme, come sapientemente raccontato da Boltendahl a metà del libretto, in accompagnamento al CD, che spiega a quale evento o personaggio è dedicata ogni singola canzone del disco: da quel sanguinoso fanatismo nacque l’Ordine dei Templari. “Monks Of War” si concentra su Hugo de Payens, fondatore dell’Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo, e alla loro strenua difesa dei pellegrini cristiani, sottolineata nella canzone dal velocissimo riff e dalla batteria martellante di Stefan Arnold. A loro si opponevano i “Fanatic Assassins”: le milizie reclutate dal Saladino più radicalizzate in assoluto, chiamate dall’urlo ruvido di Chris Boltendahl e dal basso dell’ormai navigatissimo Jens Becker. Il trittico di canzoni basta da solo per far venire il torcicollo a chiunque stia ascoltando l’album, nel loro essere musicalmente e stilisticamente heavy metal fino al midollo. L’altro grande classico, più e più volte riproposto dal vivo, è “Lionheart”, dedicata alla figura di Riccardo Cuor di Leone, dove apprezziamo anche i cori (tra le cui fila vocali c’era pure un allora insospettabile Piet Sielck degli Iron Savior), sempre sostenuta dai riffoni granitici di Uwe Lulis. Se si parla di Templari non si può poi non parlare del Santo Graal e di tutta la leggenda che lo accompagna, e per questo i Grave Digger scrivono un pezzo cadenzato come “The Keeper Of The Holy Grail”, che nella propria solennità nasconde le pieghe di un culto ormai diventato puramente idolatra e violento. Seguendo il concept, si arriva a scorgere il definitivo declino: “Inquisition” e “Baphomet” sono le accuse (musicalmente davvero eccellenti nel loro ossessivo ed incalzante svolgimento) del papato – e della Chiesa in generale – verso i Templari, diventati troppo ricchi e potenti, mentre “Over The Seas” racconta la fuga degli ultimi di loro, si dice, verso il Portogallo e la Scozia, dopo la dissoluzione dell’Ordine nel 1312. Il racconto si chiude con “The Curse Of Jacques” e la maledizione lanciata da Jaques De Molay – ultimo Gran Maestro dell’Ordine – il 18 marzo 1314 verso Papa Clemente e il Re. Un elemento spesso sottovalutato della musica dei Grave Digger sono le lugubri tastiere di H.P. Katzenburg che, nel caso di questo incedere ossessivo – in grado di rievocare la camminata del Gran Maestro verso il patibolo – si accompagnano perfettamente all’atmosfera della canzone e nel refrain “I watch the demon dancing round my tears”. E allora cosa c’entra “The Battle Of Bannockburn”, ennesimo pezzo da novanta nella discografia dei Nostri? Robert The Bruce fu scomunicato per l’omicidio di John Comyns, e si dice che per fare un torto al Papa non rivelò né consegnò i Templari scozzesi, non sentendosi più legato alla Chiesa. Il giorno della battaglia, che si svolse vicino al castello di Stirling, una nuova unità apparve nei ranghi dei ribelli. Le cronache dicono che la retroguardia fosse composta da donne, bambini e persone non abili al combattimento, ma se fosse invece stata composta da combattenti feroci con stendardi mai visti in quelle terre? Una delle leggende legate a quella incredibile battaglia e alla storica vittoria degli scozzesi vuole proprio che furono i reduci dei Templari a seminare il panico nelle fila inglesi causandone la rotta! “White knights appear/ Silhouetted against the dark” urla la voce al vetriolo di Boltendahl nella furia epica di questa canzone, dove tutto funziona perfettamente: dal doppio pedale al riff sferzante, passando per il malinconico giro di basso che la chiude drammaticamente.
Non sapremo ovviamente mai come andarono davvero le cose, e non abbiamo dubbi che gran parte di questo concept sia basato su leggende piuttosto che su fatti storici, ma d’altronde il nostro genere preferito non trae forse nutrimento da lugubri storie di massacri, roghi e epiche leggende?
Nonostante sia uscito ben ventiquattro anni fa, ogni volta ci meravigliamo nel sentire quanto questo capolavoro sia invecchiato bene, anche per l’ottima produzione: “Knights Of The Cross” è uno dei migliori dischi del Becchino, la fotografia di band all’apice del suo successo e in uno stato di grazia incredibile, al pari del precedente “Tunes Of War”. La burrascosa separazione con Uwe Lulis era dietro l’angolo, ma se qualcuno dovesse chiederci come trovare il segreto dell’acciaio, non potremmo che consigliargli di inserire nella formula alchemica questi cinquantasette, favolosi, minuti di heavy metal.