7.0
- Band: GRAVE DIGGER
- Durata: 00:53:00
- Disponibile dal: 18/01/2005
- Etichetta: Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
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Diventa sempre più difficile capire che cosa passi per la testa dei Grave Digger! In soli tre anni abbiamo assistito ad un fenomenale e graditissimo ritorno alle origini (“The Grave Digger”), poi ad un repentino nuovo cambio di direzione (con l’ennesimo, scialbissimo, concept album “Rheingold”) e ora ci ritroviamo tra le mani un lavoro nuovamente sulla scia dei loro primi dischi, per certi versi simile a “The Grave Digger” ma in certi casi influenzato persino anche da “The Reaper” e da “Symphony Of Death”. Questo per chi scrive è senz’altro un bene visto che non aveva quasi per nulla gradito il precedente “Rheingold”, un disco a tratti semplicemente pietoso. “The Last Supper” – che non è assolutamente un concept, solo alcuni brani parlano degli ultimi giorni di vita di Gesù – si assesta sicuramente su ben altri livelli qualitativi e ci presenta una formazione che, a sorpresa, può vantare ancora qualche freccia al proprio arco. L’album infatti, pur non arrivando mai ai picchi di “The Grave Digger” o dei primi lavori, si rivela piuttosto ispirato e godibile, scevro di inutili orpelli e di epicità da quattro soldi, legato alla tradizione, compatto e spesso notevolmente potente. Il riffing di Manni Schmidt, pur essendo ovviamente ultra classico, è questa volta più frizzante e dinamico del solito ed è di certo il principale artefice di questa piccola rinascita artistica, che vede comunque anche il buon Chris Boltendahl e la sua inconfondibile ugola fare bene la loro parte. La title track, “Desert Rose”, “Grave In No Man’s Land”, “Crucified” e “Black Widows” sono pezzi semplici ma molto efficaci, costruiti su ottimi riff e ritornelli dal grande impatto, composizioni che, con ogni probabilità, faranno la gioia di ogni fan del quartetto tedesco e di tutti i veri amanti del più puro ed incontaminato heavy-power metal. L’intero CD comunque si lascia ascoltare molto volentieri, non è prolisso e, anche se qua e là ci sono sì delle cadute di tono, non si può certo considerarlo come un lavoro da ignorare o da buttare. Rispetto a “Rheingold” si è anni luce più avanti. Non è magari il caso di esaltarsi, ma chi apprezza i Grave Digger non dovrebbe proprio lasciarsi sfuggire questo “The Last Supper”.