8.5
- Band: GRAVE MIASMA
- Durata: 00:52:51
- Disponibile dal: 14/05/2021
- Etichetta:
- Sepulchral Voice
Spotify:
Apple Music:
Di certo non si potrà accusare i Grave Miasma di sfornare dischi a ritmi implacabili (tre lustri di carriera alle spalle e soltanto due full-length all’attivo!) o di rimanere ostinatamente fermi sulle loro posizioni. Il nuovo “Abyss of Wrathful Deities”, infatti, arriva a ben otto anni di distanza dall’esordio ufficiale “Odori Sepulcrorum” e a cinque dal pregevole EP “Endless Pilgrimage”, e rappresenta fin dalle primissime battute un marcato affinamento della proposta e del linguaggio del gruppo londinese. Non una rivoluzione copernicana o la volontà di coprire spettri sonori inediti, quanto piuttosto la naturale prosecuzione di un discorso musicale – quello dei fratelli Ben-Haim, rispettivamente voce/chitarra e batteria – che a partire dalle dense trame del succitato debutto e dei lavori precedenti si è fatto via via sempre più aggressivo e rifinito, senza mai prescindere dalle atmosfere catacombali alla base dell’intero progetto.
Viste in quest’ottica, le nove tracce confezionate da Jaime Gomez Arellano presso gli Orgone Studios (Angel Witch, Paradise Lost, Vltimas) non possono che essere considerate l’apice di questo vagabondaggio negromantico fra le arcane suggestioni della migliore tradizione extreme metal di fine anni Ottanta/inizio anni Novanta; un exploit stilistico che prende con ancora più fermezza le distanze dall’abusato trend del revival old school in virtù di una capacità di scrittura ormai fattasi sopraffina e di una personalità innegabile che mescola i Morbid Angel dei demo e di “Altars of Madness” con gli Incantation, la scuola sudamericana di “I.N.R.I.” con quella mediterranea di “Thy Mighty Contract” e “All the Witches Dance”, per un risultato tanto tradizionale quanto caratteristico e fondamentalmente senza tempo. L’arte del riff e delle dinamiche è qui celebrata come mai era avvenuto in passato, sul filo di un’elasticità strutturale che – lungi dall’essere progressiva in senso stretto – rende molto spesso difficile intuire cosa accadrà di lì a poco. I brani si contraggono e si distendono in un ciclo infinito di decadimento e morte, ora esplorando le tipiche digressioni cerimoniali della band (oggi esaltate da una ricerca melodica lampante e ispiratissima), ora abbandonandosi a parentesi di pura blasfemia che guardano appunto con insistenza a certo death/thrash e proto-black/death di diverse decadi fa, con intarsi di sitar e altri strumenti etnici a restituire anche da un punto di vista uditivo il concept orientale dei cinquanta minuti abbondanti dell’opera.
La narrazione è coerente, fluida e terrificante, l’interpretazione frutto di una confidenza nei propri mezzi tipica dei grandi, mentre i singoli passaggi si imprimono con forza spaventosa nel corpo e nello spirito grazie alla lucidità compositiva che li guida. Dalle sferzate ritmiche del ‘singolo’ “Rogyapa” alle rarefazioni allucinate di “Kingdoms Beyond Kallash”, passando per i monumentali crescendo di “Under the Megalith”, “Abyss…” testimonia una volta per tutte l’autorevolezza dei Grave Miasma all’interno della scena death metal mondiale, restituendo all’ascoltatore tutto ciò che questo genere dovrebbe rappresentare nella sua forma più autentica e radicale: malvagità e brividi sulla schiena.