7.5
- Band: GRAVEN SIN
- Durata: 00:57:46
- Disponibile dal: 03/11/2023
- Etichetta:
- Svart Records
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Due finlandesi che suonano principalmente death e black metal entrano, insieme a un cantante di origini elleniche, dalla Svart Records con una demo in mano e si fanno produrre un disco. Sembra una barzelletta, ma è quasi andata così nella formazione e nella scrittura del primo album dei Graven Sin, terzetto che vede militare nelle sue fila Ville Pystynen e Ville Markkanen, due musicisti supernavigati della scena estrema finnica, e Nicholas Leptos, famoso per la sua militanza negli Arrayan Path.
Tre artisti, dunque, capaci di un songwriting maturo e moderno, capitati a collaborare sicuramente non per caso grazie all’intuizione di Pystynen (nome di battaglia Shatraug), che in patria guida ben tre etichette underground e ha sul suo curriculum una sterminata serie di band, fra le quali, giusto per citarne un paio, possiamo elencare Horna o Sargeist, entrambe formazioni essenziali per il black metal moderno del vecchio continente.
Considerati i lidi assolutamente opposti da cui queste persone arrivano, il risultato è che sin dalla prima, epica, “The Morrigan”, ci si trova a metà strada fra Grand Magus, Nightingale e, perché no, pure i Sentenced.
La formula è estremamente semplice: un doom epico arricchito da un bel tappeto di tastiere che ammiccano al power metal, anche grazie all’ugola d’oro di Leptos che conferisce al tutto un’aura di solennità sacerdotale. L’incedere cadenzato della prima traccia lascia spazio a quella che è sicuramente la hit del disco: la melodica “From The Shadows”, che ha un ritornello davvero azzeccato e che faticherà a schiodarsi dal vostro cervello. Echi di Atlantean Kodex riverberano nella successiva “Bloodbones”, mentre lo spleen tipico finlandese la fa da padrona in tracce cadenzate come “She Who Rules Niferlheim” e “The Scalet Night”.
Quello che il terzetto ha davvero azzeccato è la formula che consente di spararci dritti nelle orecchie dei ritornelli davvero memorabili e melodici, pur non perdendo il gusto per il macabro e per la tristezza tipica del doom metal vecchia scuola, in particolare riferibile ai Candlemass di Messiah Marcolin.
Gli unici pezzi che non funzionano proprio del tutto sono “Beyond Mesopotamia” e “Wand Of Orcus”, troppo focalizzati su atmosfere orientaleggianti a tutti i costi che tolgono quel tocco di malinconia che caratterizza invece gli altri pezzi, mentre “The Jackal God” si salva per la prova vocale davvero notevole di Leptos che posiziona il pezzo sui lidi dei Black Sabbath con Ronnie James Dio alla voce. Il disco si chiude con la bellissima “As The Erinyes Emerge”, visto che non poteva mancare un pezzo epico sulle terrificanti Erinni della mitologia greca in un lavoro così in bilico fra oscurità e melodia.
Che dire: “Veil Of The Gods” è davvero una sorpresa in un anno così ricco di bei dischi per l’heavy classico, l’epic e il doom. Insieme agli Spirit Adrift, alfieri del doom di nuova scuola, possiamo dire che c’è una nuova band in questo panorama che sa il fatto suo: se amate anche solo una delle formazioni che abbiamo citato, vi consigliamo vivamente di dare una possibilità ai Graven Sin.