8.0
- Band: GRAVEYARD (SWE)
- Durata: 00:35:32
- Disponibile dal: 26/10/2012
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Vi avevamo avvisati: era chiaro fin da subito che gli svedesi Graveyard avessero in canna il colpo grosso, l’album entusiasmante che ti rapisce dalla prima all’ultima nota. Eccoci qui, allora, a parlare del nuovo “Lights Out”, splendida evoluzione del già buono “Hisingen Blues”: il platter riparte da dove si era fermato il proprio predecessore, ovverosia da un hard rock settantiano lontanissimo però da richiami stoner. Inoltre, i Nostri amplificano ulteriormente la vena sixties già presente nelle loro influenze e le chitarre assumono sembianze care a mostri sacri quali gli Yardbirds e soprattutto i Free, senza dimenticare un certo mood saltellante che rimanda ai Thin Lizzy. Aggiungiamoci poi una robusta manciata di blues ed un pizzico di soul music e la ricetta vincente è servita. Snello, privo di sovrastrutture, essenziale, diremmo: questi sono gli elementi che rendono spettacolare “Lights Out”. La band è in forma smagliante, tutti gli effettivi offrono delle performance eccezionali, a partire dal fenomenale singer Joakim Nilsson, dotato di un’ugola allo stesso tempo graffiante ed avvolgente. I Graveyard passeranno alla storia soprattutto per i loro slow tune bluesy che veramente sono quanto di più emozionante sia dato di sentire al giorno d’oggi, alla faccia di tutto quel rock duro da classifica guidato da Nickelback e Alter Bridge, che sognano da anni di scrivere un brano quale “Slow Motion Countdown”. Gli svedesi sono completamente immersi in un immaginario classic rock, sia esso vocato verso i seventies (“An Industry Of Murder”, “Goliath”) o addirittura verso gli anni Sessanta (“Fool In The Hand” e la meravigliosa “Seven Seven”, che ricorda vagamente gli Hellacopters più ispirati). Rispetto al loro recente passato, i Graveyard eliminano quasi del tutto gli influssi dei Deep Purple, sostituendoli in toto con un rock più radicale e minimal e questo fa sì che il loro sound si avvicini ancora di più ad un modo di intendere la musica del tutto a stelle e striscie, che in un certo senso li accomuna ai Wolfmother (ma molto più talentuosi), quando non adirittura ai Black Crowes di “Amorica”. Non si rinuncia alle cavalcate hard zeppeliniane, come è chiaro ascoltando “Endless Night”, ma il tutto viene stemperato da delle ballad incredibili frutto dell’incontro tra i Free e Jim Morrison, come nel caso di “Hard Time Lovin”, bella da fare invidia a David Coverdale. Nonostante i molti riferimenti e nonostante la tipologia di musica trattata, i Graveyard riescono miracolosamente a mantenere una precisa identità come band; la produzione è vintage ma assolutamente all’altezza ed il sound molto caldo e valvolare, come giusto che sia. Insomma, non ci pare di trovare falle particolari in questo “Lights Out”, che proietta il quartetto svedese ai vertici di quella scena revival rock insieme a Rival Sons e Gentlemans Pistols. Bravissimi.