GREEN CARNATION – Light Of Day, Day Of Darkness

Pubblicato il 11/10/2024 da
voto
8.5
  • Band: GREEN CARNATION
  • Durata: 1:00:06
  • Disponibile dal: 08/01/2001
  • Etichetta:
  • Prophecy Productions

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Per certi album, indagare sul ‘come’ risulta altrettanto importante del trattare il ‘com’è’, e “Light Of Day, Day Of Darkness” dei Green Carnatiom è senz’altro uno di questi. Un’unica traccia lunga un’ora è dura da raccontare, soprattutto se ad alto contenuto emozionale piuttosto che tecnico, ma noi proveremo a farlo comunque; non prima, però, di aver speso due parole sul percorso che portò alla sua realizzazione.
Innanzitutto, perché questo cammino è un po’ l’epitome di quanto poteva succedere in Norvegia in quegli anni, e poi perché aiuta a comprenderne e a spiegarne l’alto livello qualitativo; fermo restando che il suo maggior artefice rimane senz’altro il solo Tchort, al secolo Terje Vik Schei, compositore unico, chitarrista e leader del gruppo.
A dispetto di quanto dica la discografia ufficiale, che si inaugura nel 2000 col primo album “Journey To The End Of The Night”, sono i Green Carnation ad aver dato origine nel 1991 agli In The Woods…, e non viceversa, e quando questi ultimi decidono di sciogliersi, nel 2000, Schei, reduce dagli Emperor e da un paio d’anni di galera, rimette in piedi l’antico sodalizio con i gemelli Botteri e fa uscire l’agognato debutto, che continua la tradizione d’eccellenza legata a questo ensemble di musicisti di Kristiansand, la città più a sud di tutta la Norvegia. Sarebbe già un capolavoro, se non fosse per alcune incertezze vocali e in fase di registrazione: basta a dimostrarlo il rifacimento di “My Dark Reflections Of Life And Death” comparso sul sesto e ultimo – per ora – album dei Green Carnation, “Leaves Of Yesteryear” del 2020, che rende finalmente giustizia a un pezzo clamoroso che preannunciava i fasti a venire. Nel giro di un solo anno, infatti, il secondo album, quello in questione, è pronto, ed è l’apice indiscusso del gruppo. Lo si capisce immediatamente premendo il tasto ‘play’: per un’opera di questo genere, la voce entra praticamente subito, dopo appena due minuti e quaranta secondi, perché tanta è la carne al fuoco preparata da Schei che non c’è nemmeno bisogno di dilungarsi in inutili introduzioni strumentali. Suddetta voce è poi quella sognante, calda e suadente dell’ospite Jan Kenneth Transeth, cantante degli In The Woods…, che si adagia dolcemente su un sottofondo acustico arricchito dal basso di Stein Roger Sordal, dalle tastiere e dalla voce del figlioletto di Schei, che ha un significato particolare in quanto tutto l’album è ispirato e dedicato all’altra figlia tragicamente persa dal chitarrista norvegese. Fino alla mezz’ora abbiamo un susseguirsi estremamente fluido di riff, arpeggi acustici, melodie vocali di grande carisma e impatto, senza alcun grosso stacco; una cavalcata emozionante che difficilmente si dimentica, semplice nei singoli elementi che la costituiscono, ma complessa nella realizzazione; molto articolata, ma per nulla difficile da seguire; insomma un mezzo miracolo di equilibrio e misura dominato dal vero cantante del disco che è naturalmente Kjetil Nordhus, perfetto, imperioso, versatile, espressivo; impossibile immaginarsi qualcun altro al suo posto.
La seconda mezz’ora è più soffusa, flemmatica, intimista, raffinata. Qui i singoli musicisti si ritagliano i propri spazi, anch’essi calibratissimi e mai fini a sé stessi. Si inizia col sassofono e i sontuosi gorgheggi dell’altra ospite Synne Diana Larsen, co-cantante degli In The Woods…, per passare all’assolo gilmouriano di Bjørn Harstad, pure lui ex In The Woods…; si prosegue con la seconda breve apparizione di Transeth e un crescendo di divagazioni progressive metal, psichedeliche e arabeggianti, prima che vengano ripresi, come in un musical, i temi portanti dell’album, il riff principale, la melodia di base, le voci di bimbo. Chiude un carillon, proprio come su “Heart Of The Ages”, troncato di netto allo scoccare dell’ora precisa: è la fine del sogno, il ritorno alla dura realtà.
Non ci sono i gemelli Botteri su quest’album, ma oltre alle ospitate della coppia vocale, l’album mantiene a due il numero dei membri ufficiali provenienti dal gruppo parallelo, Bjørn Harstad e Anders Kobro; e vale la pena spendere due parole anche su quest’ultimo: un batterista dal suono netto, semplice e preciso, frutto di una cura metronomica e un’attitudine a rimanere sempre a servizio del pezzo, a prescindere che si tratti di metal estremo o rock settantiano.
Per tutto quanto sviscerato fino ad ora, viene naturale accostare quest’opera agli In The Woods…, e in particolare al loro secondo album “Omnio”, ma il guitar work di Schei, molto diverso da quello di Christian Botteri, lo spinge ancora di più verso gli Anathema, vero nume tutelare di entrambe le compagini di Kristiansand, ancora più di King Crimson e Pink Floyd.
Molto più classicamente metal dei dischi avant-garde doom e black norvegesi di quel floridissimo periodo, ne ingloba comunque le reminiscenze, come nell’uso del sassofono, dell’Hammond, del sitar, nella pazzesca profusione di sample che vanno ad arricchire e sfaccettare il suono, nell’eclettismo stilistico che spazia dal doom alla psichedelia.
Un lavoro imprescindibile del metal di inizio millennio che fotografa alla perfezione un periodo magico di grande fermento e creatività, e che riunisce un cospicuo numero di musicisti d’eccezione provenienti dal black metal e approdati a ben altri lidi con risultati sorprendenti, guidati da un compositore sopraffino, spronato dal dolore in una catarsi commovente e indimenticabile.

TRACKLIST

  1. Light Of Day, Day Of Darkness
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