7.0
- Band: GREEN DAY
- Durata: 01:06:00
- Disponibile dal: 15/05/2009
- Etichetta:
- Warner Bros
- Distributore: Warner Bros
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Dopo il successo planetario di "American Idiot" – indice di una seconda giovinezza e pari per importanza solo al loro esordio su major "Dookie" – c’era grande attesa per il ritorno sulle scene dei Green Day, finalmente concretizzatosi, dopo un’attesa durata quattro anni, ora che il nuovo "21st Century Breakdown" è nei negozi. Come preannunciato, la band gioca nuovamente la carta del concept album, anche se stavolta al centro della storia ci sono due ragazzi (Christian e Gloria) alle prese con una società conservatrice ed una cultura autoritaria: l’idea non è certo delle più originali – ci aveva già pensato Bruce Springsteen più di trent’anni fa con "Born to Run" – ma la presa sulle nuove generazioni alla ricerca di un nuovo "Grease" al passo con i tempi è assicurata, al punto che possiamo già aspettarci un musical o un film. Venendo alla parte musicale, ci troviamo probabilmente al cospetto del disco più ambizioso dei nostri, una monumentale rock-opera suddivisa in tre atti, la cui durata complessiva supera quella dei loro primi due album su major (il già citato "Dookie" e il successivo "Insomniac") messi insieme ed in cui trovano spazio tutte le componenti della loro ormai ventennale carriera. Esemplare in questo senso il primo atto "Heroes and cons", in cui, di fianco ai classici anthem pop-punk da sempre marchio di fabbrica della band ("Know Your Enemy", "Christian’s Inferno"), trovano spazio canzoni più articolate (la title-track, "¡Viva La Gloria!" e "Before the Lobotomy") e morbide ballate dal sapore beatlesiano ("Last Night on Earth"). Lo stesso canovaccio si ripete poi nel secondo atto "Charlatans and saints", dove possiamo trovare marcette ("East Jesus Nowhere") e chitarre spagnoleggianti ("East Jesus Nowhere") mutuate dal periodo "Warning", ma anche schitarrate punk ("Murder City") a ricordarci i loro trascorsi su Lookout; notazione a parte per "¿Viva La Gloria? (Little Girl)", una taranta a metà tra i Gogol Bordello e "Misery" (sesta traccia di "Warning"), caratterizzata sul finale da un riff che ricorda uno dei più classici cori da stadio (Te ne vai o no…te ne vai sì o no). Archiviata l’ennesima ballad dal sapore agro-dolce ("Restless Heart Syndrome"), il terzo atto "Horseshoes and Handgrenades" riparte potente con la traccia omonima, perfetta per far esplodere i palazetti in sede live, e prosegue con la scanzonata "The Static Age", preludio all’immancabile ballata "21 Guns" – probabilmente la migliore di un comunque troppo corposo lotto di lenti – prima che il frizzante punk-rock di "American Eulogy" e "See the Light" cali il sipario su questo terzo e ultimo atto. Giunti al termine dell’ascolto, l’impressione è dunque quella di un disco forse quantitativamente eccessivo e qualitativamente non all’altezza del suo predecessore, ma comunque vincente: ora che i brufoli hanno lasciato il posto alle rughe, Billie Joe e soci sono infatti riusciti là dove tanti loro colleghi (chi ha detto Offspring?) hanno fallito, ovvero nell’ardua impresa di conquistare le nuove generazioni senza al contempo perdere troppi consensi tra chi ha visto la propria giovinezza fuggire sulle indimenticabili tre note di "Basket Case".