7.5
- Band: GREENLEAF
- Durata: 00:42.30
- Disponibile dal: 26/03/2021
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
“Questo è, a nostro avviso, probabilmente il miglior disco che abbiamo fatto”, dice il cantante Arvid Hällagård a Decibel “e in ogni senso il più onesto”. Lasciata dunque da parte la copertina piuttosto scontata per chi si era abituato a ben altre immagini e colori, si preme play e si inizia con “Tides”, per vedere se i Greenleaf sono riusciti a tutelare queste affermazioni così forti.
Il territorio blues psichedelico è sempre retto dallo stoner e dai pattern desertici di atmosfere Nebula e amici del Mojave: il tutto trapiantato, naturalmente, nei boschi del nord Europa, un po’ meno sabbiosi ma comunque retti dal medesimo strato roccioso. “Good God I Better Run Away” e “Needle In My Eye” sono infatti quegli anthem un po’ Queens Of The Stone Age ormai canonici per la formazione capitanata da Tommi Holappa alla sei corde, ormai retta dai fidi compari Fröhlich-Olsson all’accoppiata basso e batteria, pilastri entrati a pieno titolo nella band. Le voci di Arvid Hällagård continuano ad essere uno dei punti più funzionanti dei Greenleaf, non osando mai fin troppo, ma battendo sempre sui medesimi toni bluesy, totalmente in linea con la musica senza tanti fronzoli intorno. Blues sporco fatto bene, ancora una volta, siòri. E farlo bene è mestiere di pochi in un calderone con così tanti cloni e sound interscambiabili. La Svezia allucinogena qui arriva al punto discografico meno sperimentale e Kyussiano, settandosi più sulle coordinate dei Clutch più efficaci, risultando però ancora convincente e piuttosto originale. Il tono della profondità espressiva risiede nelle retrovie, più che nella superficie sonora: quel cambiamento emotivo è più profondo nei testi, scritti da Hällagård durante e dopo il divorzio, oltre che caratterizzandosi nel pieno periodo dei lockdown di sorta. “But now our love was done for / Thеre was nothing else to do / Now I’m picking up the pieces / In a world without you“. Menzione speciale per una delle top track della discografia degli svedesi: “On The Wings Of Gold” non è certo nulla di nuovo (l’eco All Them Witches è fortissimo), ma è l’emblema di come essenziale non voglia dire scontato, così come dire “blues” oggi non voglia dire non sapere da dove si viene, né come saperlo fare davvero con un basso, una chitarra, una voce e una batteria. E basta sentire la maggior parte delle band che si marchiano della targhetta stoner per capire che questo non è per nulla scontato.
Pur non brillando come il mitico “Trails & Passes” o il suo successore, “Echoes From A Mass” conferma ancora le buone impressioni date dalla band in passato, riprendendone i canoni, ampliandone la sonorità ma non i fondamenti, impreziosendo i suoni e condendoli con una dose di impatto easy listening per rendere tutto ancora affabile, essenziale e convincente fin dal primo ascolto. Una sicurezza, ancora una volta.