7.0
- Band: GREYHAWK
- Durata: 00:44:38
- Disponibile dal: 02/04/2024
- Etichetta:
- Fighter Records
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L’esordio “Keepers Of The Flame” degli heavy/power metaller statunitensi Greyhawk, datato 2020, a suo tempo ci aveva piacevolmente convinto, senza però riuscire a far breccia al pari di altre uscite analoghe, sempre appartenenti al filone della new wave of traditional heavy metal: si tratta infatti tuttora di un album con alcune buone idee, ma anche con diverse lacune e punti morti, nonché con una delle copertine più brutte degli ultimi anni.
Il successore, oltre a vantare un artwork decisamente più professionale, passa dalle fiamme ai tuoni, sfoggiando l’altisonante titolo di “Thunderheart” e cogliendoci alla sprovvista con una opener devastante e accelerata intitolata “Spellstone”, evidentemente pensata per fungere da traccia di apertura non solo del disco, ma anche di un potenziale live.
Il risultato ci fa strabuzzare gli occhi e drizzare le orecchie, così come la deriva più lenta e al limite della semi-ballad scelta per la successiva “Ombria (City Of The Night)”, che vince grazie ad un ottimo ritornello, cantabile e dal forte impatto emotivo; risultato raggiunto con meno efficacia dalla title-track e dalla seguente “Rock & Roll City”, che adottano una parvenza rockeggiante gradevole, ma che sembra spezzare un po’ troppo il ritmo serrato dettato dal focoso inizio.
“Steadfast” e “Sacrifice Of Steel” sono probabilmente le tracce più epic metal incontrate finora, interpretate invero molto bene dalla timbrica medio-bassa del vocalist Rev Taylor, che tuttavia non basta ad eliminare del tutto il nostro leggero senso di smarrimento dato da un incipit micidiale, ma a cui è seguita una lunghissima prima metà di album melodica e tendente ad una velocità alquanto moderata; fortunatamente, la seconda delle due appena citate contiene anche qualche passaggio affilato e qualche coltello a vista, ma a questo punto appare chiaro come in questi lidi il focus si sia ormai spostato sui ritornelli e sulle ovazioni battagliere.
Questa convinzione prosegue con il massimo della coerenza nella belligerante “The Last Mile”, che col suo incedere martellante e cadenzato riassume perfettamente il concetto di brano – che vedremmo bene come accompagnamento per un esercito in marcia, con spade e lance puntate in direzione del nemico – peraltro con alle proprie spalle una sezione ritmica ben curata e degli inserti chitarristici anche più convincenti rispetto ai pezzi precedenti, il che ci fa sorridere al pensiero che le asce non siano state trascurate.
Con “Back In The Fight” finalmente torniamo ad incrementare la componente più adrenalinica, seppur con delle soluzioni che ci riportano alla mente più il metal anglosassone, anziché quello americano, e la conclusiva “The Golden Candle” a chiudere definitivamente le danze in una maniera inaspettata, trattandosi di un brano prevalentemente acustico e dalle forti connotazioni medievali, che conclude l’opera mantenendo quella sorta di lentezza che ha caratterizzato la maggior parte dell’ascolto.
Un prodotto che ci lascia alquanto indecisi, soprattutto per via di alcune scelte strutturali controverse e, a nostro modo di vedere, un po’ sconclusionate: non si capisce perché iniziare lanciando letteralmente fulmini e saette, per poi virare in un contesto molto più rockeggiante e, solo a quel punto, lasciar parlare pressoché in via definitiva l’estro più epic metal, ad eccezione della sopracitata parentesi più in linea coi Judas Priest o gli Iron Maiden.
I brani in sé sono tutti piacevoli, con alcuni picchi davvero interessanti e ben composti, ma quello che manca è una direzione specifica, nonché una impronta generale efficace fino in fondo, in grado di aumentare il grado di esaltazione percepibile in fase di ascolto, che in questo caso risulta sì presente, ma anche un po’ frenato.