7.0
- Band: GUINEAPIG
- Durata: 00:34:08
- Disponibile dal: 10/06/2022
- Etichetta:
- Spikerot Records
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Il ritorno discografico dei Guineapig si concretizza in un momento particolarmente florido e fortunato per le sonorità goregrind. Soltanto negli ultimi mesi, infatti, è stato possibile assistere all’exploit dei Pharmacist di “Flourishing Extremities on Unspoiled Mental Grounds” e alle solide prove targate Putrefaction Sets In e Cartilage, mentre nel momento in cui ci accingiamo a scrivere questa recensione Miasmatic Necrosis e Septage stanno terrorizzando il Nord Europa in una tournée all’insegna delle depravazioni medico-chirurgiche portate alla ribalta da dischi come “Reek of Putrefaction” e “Symphonies of Sickness” oltre trent’anni fa; le condizioni sono quindi ottimali per far sì che la nuova prova del terzetto romano – seguito di quel “Bacteria” pubblicato nell’ormai lontano 2014 – possa godere del giusto riscontro e ‘successo’, anche in virtù di una resa complessiva più curata e a fuoco rispetto al passato.
A differenza degli act citati poc’anzi, i Nostri vantano senza dubbio un’estetica e un suono più moderni, con una ricerca ossessiva dell’elemento groove che ne avvicina la scrittura a quella di gruppi dall’immaginario parossistico come Cock and Ball Torture, Gutalax e Spasm, ma pensare che in virtù di questo facciano poco sul serio, lasciando magari le dinamiche e lo sviluppo della loro musica al caso, sarebbe un errore grossolano. “Parasite” ci presenta sì una band ignorante e votata esclusivamente ad un impatto grottesco e distruttivo, ma che sa benissimo come maneggiare certe soluzioni (il cui numero, a conti fatti, è assai ridotto) per confezionare brani fluidi e di senso compiuto, nei quali i riff dettano legge e le strutture, per quanto ripetitive, appaiono sempre funzionali. Fra assalti death/grind galoppanti e breakdown grassissimi, voci urlate e altre filtrate fino a sembrare il gorgoglio emesso da una carcassa in putrefazione, la tracklist mette fin da subito le cose in chiaro con la doppietta “Ocular Tormentor”/“Mermaid in a Manhole”, e da quel momento in poi non si guarda più indietro, facendo leva su una perversa vena catchy che la produzione di Marco Mastrobuono (Fleshgod Apocalypse, Hour of Penance, Inno) esalta e rende tratto distintivo dell’ascolto.
Poche sorprese, come detto, eccezion fatta per un remix electro-dub dell’opener che onestamente non ci sentiamo in grado di giudicare, per un disco che fa dell’orrore e della sostanza di certo metal estremo gli strumenti grazie ai quali assicurarsi diversi giri nel lettore. L’ideale per contrastare le prime ondate di caldo di questa estate.