8.0
- Band: HAGGARD
- Durata: 00:41:30
- Disponibile dal: 15/10/1997
- Etichetta:
- Drakkar Records
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Non sono ancora gli anni Duemila e non sono ancora uscite le produzioni più curate di quell’inizio millennio (“Awaking The Centuries” del 2000 e “Eppur Si Muove” di quattro anni dopo). Quella che ci accingiamo a raccontare è una piccola perla grezza che vide l’alba nel lontano 1997, da parte di quella che negli anni si impose come l’orchestra più tendente alla musica classica nel panorama del metal: gli Haggard. Proveniente dalla Germania, terra da sempre molto legata culturalmente al periodo medievale dei madrigali e delle romanze, il primo nucleo della band si formò nel 1991 grazie alla mente di Asis Nasseri (chitarra, voce e compositore), e nel 1994 se ne uscì con il primo EP “Progressive”, buon biglietto da visita nel calderone estremo in gran fermento in quel periodo storico (sempre nel ’94, infatti, uscirono “Lunar Strain” degli In Flames, “Tales From The Thousand Lakes” degli Amorphis e “In The Nightside Eclipse” degli Emperor, giusto per indicare qual era il substrato su cui si affacciavano i tedeschi). Ma a chi chiedeva un primo album completo sulla scia di “Progressive”, il quartetto lasciò il posto ad un collettivo di una ventina di musicisti che cambiò completamente le carte e la musica in tavola.
Tutto mutò e niente di quello ascoltato fino ad allora si ritrovò in “And Thou Shalt Trust…The Seer”, album di otto tracce di una forma difficile da incasellare in un preciso genere. C’è il cantato growl dello stesso Nasseri, c’è di contro una splendida voce da soprano di Susanne Ehlers, ma non ci sono i dettami tipici del metal sinfonico. Quello che distingue il suono di questo debutto è che vi sono soprattutto una gran quantità di strumenti classici, dall’organo di Hans Wolf al flauto di Fiffi Fuhrmann, dai violoncelli di Johannes Schleiermacher e Florinda Anna ai violini di Michael Stapf, Aline Deinert e Ally Storch. Giusto per citare qualche membro di questa grande entità che conosciamo come Haggard e che permea la struttura stessa delle composizioni, a partire da quell’introduzione data da “The Day As Heaven Swept”, che illustra alcuni dei temi portanti di tutto l’album, ovverosia l’Inquisizione e la Fede.
Arpeggi, flauti, cembali, oboe e archi che creano arie ancestrali e oniriche nelle quali si palesano i giochi di voce, pulite e soffiate, gorgheggi, cori e rochi growl e che lasciano poi il posto a strumenti quali chitarra elettrica, basso, batteria. Questi ultimi però accompagnano solamente quello che è l’incedere di melodie medievali, barocche e rinascimentali, come nell’inizio di “Origin Of A Crystal Soul”, dove possiamo trovare riff di organo e cori in latino tratti direttamente da un responsorio usato nelle esequie (tipiche del rito funebre, dove ad una parte solista si risponde in coro invocando il Divino). Il passaggio normale nella successione delle tracce, vista la disponibilità sonora che permette un’orchestra e la cultura musicale del creatore Asis Nasseri, porta al primo brano strumentale, anche questo legato al mondo dei morti, visto che si tratta di un requiem (preghiera per i defunti), ponte verso la lunga “In A Pale Moon’s Shadow”, uno dei passaggi più significativi dell’intero album e caratterizzato da molti cambi di ritmo, ora dettati da intermezzi di pianoforte, ora da marcette militari, così come da suite barocche e da flauti che riprendono un tema qua e là già inserito. Altro momento di respiro solamente strumentale che prova un altro canone del passato è quel cantus firmus (‘canto fermo’) che prevede una melodia pre-eesistente costituente la base di una composizione polifonica.
Man mano che passano i minuti, ascolto dopo ascolto, è sempre più forte la dicotomia del risultato che ci troviamo di fronte: siamo dentro ad un’opera medievale o rinascimentale, oppure ad un album metal? Quando le risposte non arrivano, sono solo le parti di chitarra tagliente, il growl e la batteria che cadenza alcuni passaggi a ricordare che le infinite strade del metal possono passare anche attraverso “And Thou Shalt Trust…The Seer”, e canzoni riferite alla peste (“De La Morte Noire”) sono esattamente la riprova di quest’anima divisa a metà, tra doom, gothic e melodie puramente classiche. I sentimenti continuano a mutare e verso la fine, con “Lost (Robin’s Song)”, si rimane invischiati nella dolce malinconia dell’inciso cantato dalla soprano e nelle note del violino e dell’oboe che ammantano il componimento. Si conclude questo unicum con i cori di “A Midnight Gathering” guardandosi smarriti, insicuri se quello a cui si ha assistito è stato un sabba concettuale di miscele sonore e quindi in bilico tra essere estasiati da qualcosa di incredibilmente irripetibile oppure storditi dall’incapacità di riconoscere un genere. Forse è proprio per questo che gli Haggard sono ancora oggi sul palcoscenico, per questa loro libertà di interpretare musiche antiche in vesti nuove, unendo suoni così distanti e opposti che in altri spartiti non si sarebbero mai miscelati.