8.0
- Band: HAKEN
- Durata: 01:02:10
- Disponibile dal: 03/09/2013
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: EMI
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Che periodo per il progressive metal! Dream Theater, The Safety Fire, Fates Warning, Thought Chamber… tante uscite una dopo l’altra, qualcuna di valore, altre magari meno, ma tutte contrassegnate – come prevedibile, considerato il genere – da molte idee e da tanta personalità. Poi però, nel mucchio di queste, si può trovare il vero gioiello, come ad esempio il qui presente “Mountain” degli Haken. Dobbiamo ammettere che la band britannica, formatasi nel 2007 ma attiva sul mercato solo dal 2010 con lo splendido debutto “Aquarius”, non ha fino ad adesso mai mancato un colpo; questa nuova uscita non è proprio da meno anzi, rappresenta il colpo più vicino al centro che la band abbia fatto finora. “The Mountain” rappresenta in questo 2013 un picco di creatività e di espressività davvero notevole, perfetto specchio di un momento di gran salute della band, ma anche della scena intera, che oramai non può permettersi più di ignorare il nome degli Haken. Ad introdurci il disco è la soffusa “The Path”, breve intro dall’andamento sognante affidata a tastiere e pianoforte, sulla quale assistiamo subito alla buona vocalità del singer Ross, ottimo per tutta la durata del disco. La bocca però la spalanchiamo subito dopo con “Atlas Stone”, primo ‘macigno’ di puro progressive metal di quasi otto minuti: la traccia si rivela un’ottima scelta quale opener (escludendo l’intro), e ci mostra subito sia il lato ‘metal’ degli Haken, che qui traspare da diverse scorribande strumentali, sia il loro lato più ‘rock’, quello che sa di Yes, Genesis e Rush, senza però mai copiarli, sia chiaro. Descrivere il pezzo nella sua totalità è arduo, vista la quantità di input e di umori che il sestetto britannico è stata in grado di inserirvi, ma rimaniamo davvero sorpresi da come questa ricchezza musicale riesca a trovare spazio perfettamente, senza risultare forzata o straripante. Se “Atlas Stone” ci faceva aprire la bocca, “Cockroach King” ci fa cadere proprio la mascella. Il pezzo è assolutamente atipico, geniale nella sua manifesta follia e negazione degli schemi, e ci presenta un modo di intendere il progressive che non avevamo sentito prima. L’input principale nella parte iniziale risultano essere i Gentle Giant, ma il resto sa veramente di un po’ di tutto, dagli Emerson Lake & Palmer passando ancora per gli Yes. La teatralità del brano, il senso di sorpresa che l’ascolto ci lascia, e anche l’accessibilità delle diversi parti che costituiscono questo arzigogolato pezzo non ci lasciano altra scelta che segnalarlo come uno dei brani prog migliori del 2013. “In Memoriam” e “Beacuse It’s There” sono più brevi e differiscono tra loro in maniera marcata: la prima è un inquieto brano metal (non fatevi ingannare dai primi venti secondi) sul quale la band mostra di non disdegnare di picchiare, se serve; la seconda è invece una delicata ballad, sicuramente meno folle e geniale ma altrettanto gradevole rispetto ai pezzi che l’hanno preceduta, grazie anche al coro a cappella iniziale. La scelta di accostare i due brani più corti dopo la lunga traccia precedente si rivela un buono stratagemma che ci permette di affrontare senza la testa pesante il ‘mattone’ successivo, “Falling Back To Earth”. Durante i dodici minuti di durata di questo brano troviamo veramente di tutto, da eteree parti acustiche a riff serrati con chitarre sorprendentemente spesse. La malata creatività degli Haken torna qui nuovamente allo scoperto, e input sinfonici ed elettronici si uniscono alla già non convenzionale proposta musicale: il risultato è una canzone che rasenta i livelli creativi di “Cockroach King” ma sfortunatamente non ne possiede la stessa capacità di intrattenerci senza faticare; il brano si rivela infatti quello più ostico da comprendere, almeno ai primi ascolti. “As Death Embrace” stempera i toni, ritornando eterea e soffusa, e ci funge da intro per l’ultima suite del lavoro. “Pareidolia” si pone un po’ in mezzo tra le due già discusse suite che l’hanno preceduta: anche se non possiedono la genialità di “Cockroach King” non mostra neanche la pesantezza di “Falling Back To Earth”. Sicuramente abbiamo apprezzato in questo brano gli incredibili passaggi strumentali, mai esagerati o noiosi, così come l’intro arabeggiante, un po’ memore delle atmosfere iniziali della bellissima “Home” dei Dream Theater. “Somebody” chiude il lavoro con nervosismo e sconforto, un pezzo ancora intriso di grande personalità, ma anche lievemente spiazzante come conclusione. Insomma, “Mountain” degli Haken è un’uscita ‘rumorosa’ per il metal progressivo: la creatività e il dispiego di idee qui mostrate dovrebbero essere una bandiera per il genere prog, e quindi non possiamo che premiare il lavoro di questi sei inglesi con un ulteriore plauso.