7.5
- Band: HANDS OF ORLAC
- Durata: 00:43:43
- Disponibile dal: 13/11/2014
- Etichetta:
- Terror From Hell Records
Spotify:
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In connessione diretta con la controcultura dark e horror del nostro paese, a tutto quell’insieme di artisti che tramite musica, parole e immagini hanno delineato un modo di intendere e osannare il macabro assolutamente unico, gli Hands Of Orlac ritornano a propinarci i loro incubi, a distanza di tre anni dall’esordio omonimo. Battente in origine solamente la bandiera tricolore, la formazione già da qualche anno annovera a una delle due chitarre David Olofsson dei Portrait e Jens Rasmussen alla batteria. L’internazionalità della line-up ha finito per influenzare l’identità stilistica, che si pone come una riuscita e accattivante mescolanza fra almeno tre scuole di pensiero dell’heavy metal devoto a occultismo e cupezza. La prima non poteva che essere quella di The Black, Black Hole e Paul Chain, quindi la fulgida storia dell’orrorismo sonoro italico; la seconda fa riferimento a Mercyful Fate e King Diamond, a cui gli Hands Of Orlac si accostano per una costruzione dei pezzi ampia e molto libera, che non prevede schemi fissi; la terza è la cara, datata ma sempre giovane NWOBHM, e per una volta sono gli Iron Maiden con Di Anno dietro al microfono a prevalere su facili accostamenti agli Angel Witch, comunque rintracciabili. Non è finita qui: infatti la voce femminile di The Sorceress e il suo magico flauto scomodano un confronto diretto con Blood Ceremony, Jex Thoth e, per l’impetuosità progressiva, i rimpianti The Devil’s Blood. Sgrezzatisi rispetto all’opera prima, i cinque ci fanno allora vivere un nuovo inebriante viaggio nel mistero, fra miti ancestrali e freak nascosti nell’ombra. Dopo una sibillina intro, è “Last Fatal Drop” a prenderci per mano, a condurci in una gita in una foresta al tramonto, alla ricerca dei luoghi dove sinistri personaggi si riuniscono per omaggiare le forze del maligno. Il flauto volteggia leggiadro fra chitarre inquiete, che rileggono con acutezza e intraprendenza la NWOBHM e il dark sound italico. Heavy metal purissimo, a presa rapida nonostante non si persegua per nulla l’immediatezza. Il cantato, a metà strada tra carezze di fata e incantesimi di strega, blandisce e allontana, ghermisce e prende in giro. Con “Burning” galleggiamo nel doom esoterico, circuito da un tenue tocco folk alla Jex Thoth. Qui, come in tutte le altre tracce, si mette in luce un solismo istintivo come quello dei primi Anni ’80 e audace come quello del decennio precedente; si tratta di assoli brevi, pilastri fondamentali delle architetture arcane del combo, e non meri abbellimenti, che provocano genuini brividi di terrore. “Coin In The Heart” mischia invece con sapienza Iron Maiden ed Angel Witch nell’attacco, per poi lanciarsi in una felpata danza, dove gli Hands Of Orlac sembrano far le fusa al Male, per sottometterlo. Un vibrante climax ascensionale che sfocia in un mid-tempo incalzante, segnato negli interstizi da un basso suadentemente darkwave. Nuovo cambio di scenario con “Noctua”, travolgente come i migliori The Devil’s Blood: ottimo il break di hard rock psichedelico su cui è imperniata la vorticosa chiusura, mentre si dimostra provetta emula di Farida la dotata vocalist The Sorceress, mai sottotono o fuori luogo, qui come altrove. Con “A Ghost Story”, dopo un incipit maestoso, si viene inglobati in una spirale di influssi magici, resi più efficaci da un ritornello lamentoso, sottilmente minaccioso; il pezzo si chiude invece con un palese omaggio all’esordio maideniano, più nello specifico “Transylvania”, ricalcata quasi al millimetro in alcune melodie. Pregevole anche l’ultimo episodio, “Mill Of The Stone Women”, un doom progressivo solcato da assoli impulsivi, che accrescono la sensazione di trovarsi alla mercé di forze inarrestabili. Al secondo album, gli Hands Of Orlac hanno già acquisito una maturità da band navigata: speriamo soltanto che non si nascondano nell’underground e diffondano anche live le loro torbide visioni.