7.5
- Band: HANDS OF ORLAC
- Durata: 00:56:30
- Disponibile dal: 18/09/2023
- Etichetta:
- Terror From Hell Records
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Sette tracce, come sette sono i colli di Roma (città di origine della formazione), che ispirano altrettante storie dell’orrore mirabilmente narrate dagli Hands Of Orlac.
Terzo disco per loro, a colmare una pausa piuttosto lunga – sei anni dallo split con i The Wandering Midget, nove dal precedente album “Figli Del Crepuscolo” – durante la quale la band, come da prassi, non ha dato alcun segno di vita.
Non stupisce quindi che anche il nuovo full-length, “Hebetudo Mentis”, esca in sordina, con una promozione scarna affidata interamente alla propria casa discografica Terror From Hell. Perché da parte degli Hands Of Orlac medesimi, tutto tace, considerata anche l’assenza di profili ufficiali aggiornati.
Parla, e lo fa ancora una volta molto bene, la musica: ricadiamo piacevolmente nei connotati che già avevano definito l’esperienza sonora di questa creatura, nata in Italia, cresciuta in Svezia attorno a due musicisti fissi, la cantante/flautista The Sorceress e il bassista The Templar, attorniati di volta in volta da altri personaggi.
Si diceva in apertura del tempo trascorso dalle precedenti uscite discografiche, come se il tempo fosse una variabile importante, per un siffatto suono, intrappolato in una sua specifica dimensione temporale, culturale e ambientale.
L’orrore, nelle sue forme fisiche, visuali, percepibile attraverso tutti i sensi disponibili, quello uditivo ovviamente in primo piano, rimane il perno della profonda narrazione del gruppo; un modo di raccontare che affonda le sue radici, inevitabilmente e autenticamente, in quel ‘dark sound’ riferibile alla tradizione prog italiana prima, quindi a quella strettamente metal più recente.
Un’unione di puntini oscuri affidata a una tratteggiatura ancora più plumbea, che va a connettere gli Hands Of Orlac a Balletto Di Bronzo, Black Hole, The Black, Abysmal Grief, per citare alcuni degli esempi più autorevoli nel campo. Spaziando al di fuori dei confini italiani, Blood Ceremony e Jex Thoth hanno rappresentato e rappresentano valenti termini di paragone, come è indubbia la persistenza della NWOBHM più maligna, quella di Angel With e Witchfinder General, e del doom sabbathiano.
Con “Hebetudo Mentis” la band di origine capitolina rinnova la sua magia, operando un’asciugatura della componente più strettamente metal, togliendo quei rimandi a una musica più ‘battagliera’ e trascinante che facevano accostare, a volte, le tracce di “Figli Del Crepuscolo” agli Iron Maiden dei primi due dischi. Questa volta, nel suo rimembrare e far rivivere con la propria arte un certo passato musicale, i Nostri vanno ancora più indietro o meglio, si pongono in una prospettiva atemporale, dando ancora più risalto alle dimensioni di racconto oscuro, di magica evocazione, minaccia occulta, delle quali la propria proposta già era ben intrisa.
La voce ammaliatrice e stregonesca di The Sorceress prende allora la scena, assieme a un dialogare di chitarra che si alimenta di andirivieni pigri, ipnotizzanti, tenuemente zanzarosi. Un heavy/doom istrionico ed elastico, pur rispettando i sacri canoni dei generi di partenza.
C’è un fruscio di fondo negli Hands Of Orlac che porta la mente verso i misteri naif di vecchie pellicole, registrazioni tremolanti, foto imperfette, assecondando il nostro perderci lontano dalla realtà, per auscultare quel che vaga in penombra. È un tocco lieve, fatato, quello del gruppo, un sospirare di anime dell’oltretomba che infonde all’opera un registro dimesso, cimiteriale ma palpitante energia. “Hebetudo Mentis” ha un respiro profondamente settantiano, al di là del suono in sé lo si percepisce dalle strutture aperte, una libertà d’azione che porta verso angoli nascosti, ramificazioni storte e ondivaghe rispetto alla struttura principale dei singoli brani. La sensazione è che, all’interno delle canzoni, i musicisti desiderino scivolare via dall’obbligo di dover restare su un determinato sentiero e si divertano quindi a divagare, senza che ciò comporti mosse insensate o il far affievolire l’atmosfera creatasi.
Il cantato di The Sorceress esce a sua volta da comportamenti strettamente legati all’heavy metal, la sua è un’interpretazione rock ampia e non riconducibile solamente ai toni stregoneschi di altre cantanti attuali. Spicca nella raccolta “Il Velo Insaguinato”, unica traccia cantata in italiano: per questo tipo di sonorità la nostra lingua è perfetta, a maggior ragione se chi l’utilizza si adopera per sottolinearne gli aspetti lugubri, viziosi, caricando ogni parola di una misurata enfasi. Le sottili note del flauto e accenni di sintetizzatore pennellano invece di incantevole ombrosità “Frostbite”, una danza di spettri che ricorda per alcune sortite i solenni ricami gotici degli ultimi Black Oath.
Le alternanze di frammenti carichi di tensione e partiture più ritmate e meno soffocanti collegano le varie situazioni tematiche illustrate nel disco, toccando il climax emotivo proprio nella traccia finale, dove si assommano tutte le caratteristiche della band. Un po’ jam session, un po’ favola nera, un po’ ossessiva cantilena, “Ex Officio Domini (The Executioner of Rome)” mostra appieno la sensibilità prog della formazione, orchestrando un pezzo che poteva essere attuale oggi come quaranta e oltre anni fa. Un bel ritorno per gli Hands Of Orlac, un’altra piccola gemma oscura che saprà alimentare il loro culto nel circuito underground. Sperando ci sia anche l’occasione di qualche sortita sui palchi dei festival di settore.