6.5
- Band: HANGMAN'S CHAIR
- Durata: 50:49
- Disponibile dal: 30/09/2015
- Etichetta:
- Musicfearsatan
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Quattro album all’attivo e tre split album per il quartetto francese dedito ad uno sludge affusolato e roccioso, memore di una lezione di affabilità grunge à la Alice In Chains che riecheggia nelle partiture più rock della discografia della band di Clisson, patria dell’Hellfest e quasi tempio del metal francese. In questo quarto “This Is Not Supposed To Be Positive”, sempre contraddistinto da illustrazioni superbe, come tutti i lavori della band, si risentono gli echi che avevano contraddistinto “HOPE//DOPE//ROPE” del 2012, in quella sua mistura di Yob alleggeriti e resi più affabili, ma con una buona dose di materiale prezioso al primo ascolto, mai però suggellata del tutto. Il discorso di questo quarto disco si affievolisce ancora di più su tonalità più chiaroscurali e malinconiche di cui abbiamo l’esempio più sostanziale in “Requiem”, dove si cerca di arrivare ad una formula sludge rock più morbida e flebile, decadente e sinuosa, o nella successiva “Your Stone”, con la sua formula da ballata triste e teneramente malinconica, dove emergono le buone intenzioni vocali del singer Cèdric Toufouti, la cui voce espresiva si fa portavoce dei pregevoli arpeggi chitarristici intessuti talvolta da Julien Rour Chanut. Interessante è anche la riuscita di quelle visioni musicali soffuse ma cariche di pathos come quelle espresse nella epica “Flashlight”, dove sembrano convergere tutte le migliori intenzioni del gruppo. Sono però le soluzioni più comuni e standardizzate quelle in cui “This Is Not Supposed To Be Positive” si perde: le entrate del distorto, le aperture del chorus per acuire la sofferenza ariosa dei brani, il riffing memore di un genere cui l’appartenenza specifica risale ormai solo agli esordi della band e una tendenza a voler emulare la corrente degli ultimi anni che ha saputo offrire alcuni dei risultati migliori in ambito rock/metal, ma senza alcun brano che possa essere stampato come definitivo. Questo è un vero peccato, perchè la maturazione in questi dieci anni di carriera avrebbe potuto/dovuto orientare maggiormente la peculiarità e i punti forti del quartetto, invece che affossarli in soluzioni compositive che rischiano, nella produzione infinita che ormai riempie le playlist, di finire facilmente nel dimenticatoio. Toufouti sembra infatti cedere proprio nelle parti più distorte di basso (interessante, seppur a volte quasi fuori luogo, il lavoro di Clément Hanvic) e batteria pulsante, tanto da sembrare quasi fuori posto, invece di fare in modo che la musica maggiormente faccia valere le sue corde (“Save Yourself”) e la musica molto spesso risente di passaggi inflazionati e troppo memori di un retrogusto di già sentito. Nella proposta degli Hangman’s Chair si può ritrovare quella bellezza decadente e malinconicamente poetica di cui è intrisa la cultura francese così presente in questi brani, ma avrebbe potuto svilupparsi in maniera ancora più intrigante se il lavoro compositivo fosse stato più personale e fuori dal comune. In questo modo molta di questa bellezza si perde via troppo facilmente e nessun brano significativo rimane, alla fine del discorso, impresso nel cuore o nella memoria.