6.5
- Band: HARDCORE SUPERSTAR
- Durata: 00:37:38
- Disponibile dal: 25/03/2022
- Etichetta:
- Gain Records
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E con questo sono dodici, i sigilli che Jocke Berg e la sua sporca marmaglia hanno apposto nella vasta parete del rock and roll: “Abrakadabra” è la nuova incarnazione degli Hardcore Superstar, uno dei gruppi più apprezzati in Italia per questo genere – un misto tra glam, hard rock, street metal con attitudine festaiola e scanzonata. Reduci da un disco tutto sommato dignitoso come “You Can’t Kill My Rock And Roll” (che comunque ci siamo resi conto di aver ascoltato poco in questi quattro anni), i quattro svedesi hanno sempre amato rimodellare il proprio suono nel corso della propria carriera, partendo da un rock and roll veloce e ai limiti del punk per poi mutar pelle attraverso hard rock, metal, glam, magari per poi ancora riprendere il suono degli esordi e riproporlo vent’anni dopo. Amati o odiati che siano per le loro sortite musicali, di tutto si possono accusare gli Hardcore Superstar fuorché di immobilismo.
Insomma, anche questa nuova prova sembra avere avuto una nuova intuizione, un percorso ben distinto, forse mutuando proprio dal precedente lavoro una delle sue direzioni più precise; infatti, come ben anticipato dai molti singoli, torna a fare capolino un po’ di metal, prettamente quello più attinente alla corrente glam, stradaiolo, capace di riportarci alla mente più gli Skid Row e i Motley Crue, che non il quasi thrash dell’album eponimo del 2005 (e relativo seguito). Che dire; i brani ci sono, ci mancherebbe: la band è maestra nella scrittura di piccole perle hard rock infarcite di ritornelli supercatchy e almeno un momento memorabile per canzone, tuttavia il problema sembra più che altro strutturale. I brani ci sono, dicevamo, ma non sembrano graffiare, e seppur ben congegnati e in alcuni casi anche godibili (la titletrack, “Forever And A Day”, “Give Me A Smile”, che poteva essere la soundtrack di un film del 1984, “Dream In Red”, bella sostenuta e groovy, la ballatona finale “Fighter”), sembrano più un buon sottofondo per un giro in auto che una bordata concepita per distruggere le casse dello stereo prima di andare a distruggere se stessi in qualche festa del sabato sera. Sarà che quei party non li ha fatti più nessuno per due anni e mezzo? Mah. Resta un album con buone intuizioni e canzoni carine, ma piuttosto inoffensivo, forse anche volutamente: un bel dischetto come quelli che si facevano una volta, sotto i quaranta minuti, ascoltabile, non memorabile, fatto per rinfoltire una già fornita collezione, uno di quei dischi ‘di mezzo’, che i fan apprezzeranno ma che magari non si sentiranno di consigliare come punto d’inizio per scoprire la band. Ecco, noi siamo tra questi, grosso modo.