8.5
- Band: HARDCORE SUPERSTAR
- Durata: 00:48:50
- Disponibile dal: 02/11/2005
- Etichetta:
- Gain Records
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Agli Hardcore Superstar va da sempre riconosciuta una versatilità che ha saputo mettere d’accordo tanto gli ascoltatori di musica più generici quanto i rocker più scafati, fino a non sfigurare nemmeno tra i media più mainstream; già ai tempi del primo album, difatti, il video di “Liberation” girava tranquillamente su Mtv. Un’attitudine stradaiola genuina e non costruita, un’esigenza espressiva che trasudava sangue e pulsazioni sin dagli esordi, la capacità innata di costruire canzoni che restano in testa al primissimo ascolto, soprattutto in epoca pre-split dal chitarrista Silver, una certa vocazione per i riflettori: fattori che insieme hanno creato una formula difficilmente replicabile e che, anche a vent’anni circa dai primi passi, continua a mietere vittime, pur con tutto il vissuto sulle spalle e le varie vicissitudini – e mezzi passi falsi – occorsi nel tempo. Dopo un esordio al vetriolo, un album dalle tinte più rockclassicheggianti e un terzo disco leggerino e così così, con l’omonimo quarto lavoro gli HCSS aprono le loro porte (o entrano in quelle altrui, dipende dai punti di vista) anche al mondo del metal. Il background rock and roll resta quello sleazy e cazzone di sempre, l’attitudine punk e il glam ci sono entrambi, la facilità del ritornello supercatchy e della forma canzone immediatamente riconoscibile pure; ma i suoni si appesantiscono, la sezione ritmica assume un assetto guerresco e dinamico, e soprattutto il riffing diventa, senza via di scampo, un riffing mutuato dal metal e dall’hard rock più classico. Più di tutto, le canzoni funzionano, e pertanto nessuno scandalo, anzi: a parte forse qualche rocker della prima ora che vede in questo indurimento – che proseguirà ancora più marcatamente, forse, col successivo “Dreamin’ In A Casket” – un modo per ampliare il proprio bacino di utenze, cosa peraltro avvenuta, il consenso per gli svedesi è unanime. La band è in una forma invidiabile, il tiro sprigionato dal disco è palpabile, la prova di ognuno è puntuale e adrenalinica, e alla fine, più di tutte le chiacchiere, ci sono i brani. Pezzi come “We Don’t Celebrate Sundays”, “She’s Offbeat”, la battagliera “Kick On The Upperclass” o la martellante “Bag On Your Heads” o, ancora, la scura “Hateful”, parlano da soli, canzoni con una presa pazzesca e che anche ad ascoltarle oggi fanno venire voglia di alzare il volume e le braccia e sperare di vedere Jocke e soci al più presto dal vivo (e chi ha avuto modo di vedere il tour di questo disco ricorderà che concerti pazzeschi ci furono a supporto!). “Hardcore Superstar” fece da anno zero, riscrisse le regole dei suoi stessi autori, riproposizione del proprio futuro e dichiarazione d’intenti per gli anni a venire, divenne ‘il disco metal’ di un gruppo che prettamente metal non è mai stato, che ai suoi show trovava un pubblico eterogeneo e con in testa solo la voglia di far festa; cosa che, del resto, è sempre stato il punto focale dei Nostri: “it’s rock and roll, baby, and we like it”. Un disco a modo suo ruffiano, con molte anime, magari non il più riuscito della band (almeno per chi scrive l’urgenza di “Bad Sneakers…” resta imbattuta) ma certamente il più rappresentativo, un entry level potenzialmente imbattibile per chiunque voglia avvicinarsi a certe sonorità per poi approfondirle. Un classico moderno, di sicuro.