6.5
- Band: HARDCORE SUPERSTAR
- Durata: 00:44:00
- Disponibile dal: 27/04/2015
- Etichetta:
- Gain Records
- Distributore: Sony
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Ed eccoci ad una nuova uscita discografica degli Hardcore Superstar, band che in Italia gode di un fedelissimo seguito guadagnato con anni di album di buon livello e con una presenza live sul nostro territorio a dir poco intensa. La band di Magnus “Adde” Andreasson e Jocke Berg già da un paio di lavori, “Split Your Lip” e “C’mon Take On Me”, aveva progressivamente preso le distanze dalle sfumature metal che il suo sound hard rock e glam aveva inglobato, optando per soluzioni più leggere e aperte ad un pubblico più vasto. Il gruppo oggi torna con un lavoro denominato semplicemente “HCSS”, diminutivo del nome della band, che, stando alle dichiarazioni, sarebbe stato composto con l’idea di ritornare allo spirito e alle sonorità degli esordi. Ci si aspetterebbe dunque l’irriverenza punk, la grezza sfrontatezza e il tiro di “It’s Only Rock ‘n’ Roll” e della sua versione definitiva “Bad Sneakers And a Piña Colada”. Ci si trova invece al cospetto di un disco sì alleggerito, anche nei suoni, rispetto a quanto fatto dalla band sopratutto tra il 2005 e il 2010, ma privo di quell’aspro e ribelle mordente che caratterizzava proprio le prime uscite discografiche degli Hardcore Superstar. Per certi versi, torna invece più alla mente quel “No Regrets” con il quale il gruppo aveva tentato un approccio più ruffiano. Analizzando nello specifico “HCSS”, notiamo già dalla discreta opener “Don’t Mean Shit” un taglio assolutamente orecchiabile, con batteria dai suoni poco potenti, chitarre dalla blanda distorsione e in secondo piano rispetto a un basso molto presente che affianca la solita buona prestazione vocale di Jocke Berg. “Party ‘Til I’m Gone” e “The Cemetery”, proseguono sulla scia di un hard rock divertente e stradaiolo più che discreto che caratterizza tutto il lavoro e che però esaurisce la sua carica poco oltre la metà della tracklist. Dopo l’altrettanto buona “Off With Their Heads”, il piacevole lento “Fly” e la riffata e allo stesso tempo ariosa “The Ocean”, il disco inizia a perdere di ispirazione e una serie di brani non all’altezza mettono in discussione il risultato finale. Parliamo soprattutto di “Touch The Sky”, dove una distorsione quasi fastidiosa e un ritornello insipido invogliano allo skip del pezzo, o la già edita “Glue”, una traccia che ci riporta più verso le sonorità dei dischi usciti nello scorso decennio, ma che su di essi avrebbe fatto la figura del riempitivo. Considerazioni simili anche per “Growing Old” o la conclusiva “Messed Up For Sure”, entrambe purtroppo senza infamia nè lode, soprattutto a livello di linee vocali. “HCSS” appare dunque come un disco riuscito solo in parte, per il quale va dato alla band il merito di aver tentato un cambio coraggioso al posto di andare sul sicuro con una formula stra-collaudata, ma che lascia trasparire un’ispirazione non sempre all’altezza degli standard a cui eravamo stati abituati.