7.5
- Band: HARM'S WAY
- Durata: 00:33:59
- Disponibile dal: 09/02/2018
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Gli Harm’s Way passano alla prestigiosa Metal Blade Records, ma l’aggressività e la compattezza della loro proposta non ne risente. Per fortuna sono finiti i tempi in cui le grosse case discografiche cercavano di plasmare il sound delle giovani promesse della loro scuderia con l’intento di renderle appetibili ad un pubblico più ampio. Il gruppo di Chicago ha certamente smussato qualche angolo nel corso degli anni, ma il processo è stato spontaneo e graduale, diretta conseguenza di una maturità sempre più definita, di qualche cambio di line-up e di una intensa attività live che ha inevitabilmente indirizzato i ragazzi verso un sound più diretto. Ascoltando questo nuovo “Posthuman”, il risultato che ne discende è una prorompente nebulosa sonora che, pur ispirandosi spesso ad intuizioni della tradizione industrial e metal-core, riesce a strutturarsi in modo piuttosto identitario. In pezzi come “Human Carrying Capacity” si parte da alcuni riff minimali che montano e si evolvono con traiettorie che solo apparentemente presentano la caratteristica della regolarità. La grande differenza che si percepisce rispetto alle ritmiche eternamente quadrate di certo metal e death-core di oggi, è un piccolo microcosmo di variazioni e sfumature a tratti eteree ed evanescenti che si espandono e fibrillano con un’andatura allucinata. Quando poi la band spinge maggiormente su un andamento robotico e rigido di estrazione Godflesh, il tutto viene sovente lacerato e trafitto da una serie di inserti più movimentati che pescano dalle influenze death metal del quintetto. “Call My Name”, ad esempio, vive di spunti tanto cari al gruppo di Justin Broadrick, quanto ai Morbid Angel. Certamente agli Harm’s Way piace anche picchiare duro, rallentare e sfogarsi in ossessivi breakdown senza fronzoli che spesso richiamano i maestri Disembodied, ma, a differenza di realtà come Code Orange e Oceano, da molti considerate loro affini, il loro songwriting al momento risulta più ordinato e mirato. Sono formule groovy, all’apparenza semplici, che qua e là vengono alterate da esalazioni tossiche, stati di trance, grovigli ipnotici che diversificano l’andatura e l’atmosfera della proposta senza mai apparire forzate o fuori contesto. L’approccio degli Harm’s Way, sia nelle scelte di composizione, sia in quelle di produzione, risulta insomma intelligente: i cinque raggiungono un equilibrio piuttosto raro per questo filone e “Posthuman” finisce di conseguenza per rivelarsi la loro opera più completa e fruibile. Da qui potrebbero davvero spiccare il volo.