7.5
- Band: HARVESTMAN
- Durata: 00:42:32
- Disponibile dal: 17/10/2024
- Etichetta:
- Neurot Recordings
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Con questa ultimo capitolo si conclude il progetto Triptych, ambiziosa trilogia di dischi pubblicati a nome Harvestman da Steve Von Till (Neurosis, Tribes Of Neurot) in concomitanza con tre delle lune piene di quest’anno.
Con le prime due parti uscite rispettivamente in occasione della Luna Rosa (23 Aprile) e della Luna del Cervo (21 Luglio), questo “Triptych: Part Three” chiude il ciclo sotto l’aura della Luna Del Cacciatore (17 Ottobre), continuando il viaggio onirico attraverso sette brani distribuiti secondo una struttura comune a tutti e tre gli album.
Ognuno dei due lati del disco (in tal caso è quasi d’obbligo il riferimento al formato in vinile) si apre con un brano – “Clouds Are Relatives” in questo caso – di rock psichedelico ed ipnotico figlio degli ultimi Om, presentato nella versione originale e nella sua controparte dub ad opera di Kevin Martin (Techno Animal, God, Ice, e Curse Of The Golden Vampire) qua a nome The Bug. Due canzoni languide e meditative, che disegnano immagini di paesaggi silenziosi in cui perdersi, al ritmo di un groove monotono ed affascinante.
Chi conosce un disco come “The Gospel Of Inhumanity” dei Blood Axis riconoscerà sicuramente la voce dello scrittore americano Ezra Pound in “Eye The Unconquered Flame” che, dopo Robinson Jeffers e William Butler Yeats, viene sottoposta al trattamento sonoro di Harvestman, che la filtra con echi e la ricopre di droni di synth analogici per quello che è il momento più cinematografico dell’intero lavoro.
“Snow Spirits” è un pellegrinaggio attraverso diversi stati mentali, fatta di ritmi tribali e tastiere che rimandano alla space music mentre i fields recordings della spettrale “Herne’s Oak” chiamano in causa la musica ambient industriale, prima di elevarsi in un finale più luminoso di scuola berlinese sfregiato da clangori e rumori metallici. “The Absolute Nature Of Light” dal canto suo è un mosaico acido ed estraniante come un trip lisergico in un altopiano desertico.
Chiude il tutto, come nei due dischi precedenti, il suono della cornamusa di “Cumha Uisdein (Lament For Hugh)” opportunamente manipolata ed immersa in un plasma di sintetizzatori, echi e riverberi.
Un progetto più unico che raro questo “Triptych”, che si chiude così come era iniziato e che rivela la sua vera essenza solamente ora, presentando sì strutture e suoni ricorrenti, ma mai sfociando nella sterile ripetitività. Un’esperienza sonora in tre capitoli perfettamente complementari, ognuno caratterizzato dalla propria personalità ma capaci di rivelare un disegno finale solo se presi nella loro totalità.
Una musica non per tutti, da sperimentare prima ancora che ascoltare.